BARI - Meno di cinque euro all’ora per sette ore di lavoro nei campi sotto il sole, senza la possibilità di riposarsi e lavorare in sicurezza: è l’accusa che la Procura di Bari muove nei confronti di 14 persone, due presunti «caporali» e i titolari di dieci aziende agricole del Sudest Barese e della bassa murgia. Stando alle indagini dei carabinieri, coordinate dalla pm Grazia Errede, gli indagati arruolavano i braccianti agricoli con annunci su Facebook e scambi di informazioni e documenti sulle chat private di WhatsApp, pagandoli poi in nero metà del dovuto e, per intimidirli e costringerli ad ubbidire, raccontavano di essere imparentati con i boss della camorra barese.
Il 4 giugno scorso i due presunti «caporali», fornitori di mano d’opera a basso prezzo per la raccolta delle ciliegie e dell’uva, i baresi Maria De Villi, 59 anni, e Vito Stefano De Mattia, 53 anni, sono sono stati arrestati (e sono ancora ai domiciliari) per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Le accuse riguardano anche i 12 titolari di dieci aziende agricole di Turi, Rutigliano, Acquaviva delle fonti e Cassano Murge. I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra maggio e luglio 2021.
Le presunte vittime, quasi tutti braccianti agricoli italiani, sono 68. L’inchiesta, denominata «Caporalis» è partita dalla denuncia di una di loro ed ha accertato che i lavoratori sarebbero stati pagati circa 4,60 euro l’ora (in nero, contro gli 11 euro l’ora previsti per legge) per lavorare in condizioni definite dagli stessi inquirenti «di sfruttamento». Il tutto approfittando «del loro stato di bisogno». Nel corso di una perquisizione in un appartamento nella disponibilità della coppia barese, gli investigatori hanno trovato un registro contabile con i nomi di decine di braccianti e operai agricoli, insieme all’indicazione delle relative giornate di lavoro.
Dalle banche dati sono emersi i rapporti di impiego formalmente denunciati dai datori di lavoro nei periodi corrispondenti a quelli indicati nei registri. In tutti i casi sono state individuate difformità tra il numero delle giornate di lavoro denunciate all’Inps e quelle effettivamente svolte e annotate da De Villi e De Mattia e sono state appurate condizioni di lavoro in violazione delle norme previste dal Testo unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
I carabinieri hanno scoperto, inoltre, che tutti i lavoratori e le lavoratrici arruolati, «sottoposti a metodi di sorveglianza degradanti», versavano in situazioni di grave difficoltà e si erano messi nelle mani dei due mediatori per cercare un impiego stagionale accettando «proposte retributive inique e condizioni lavorative degradanti senza tutele antinfortunistiche e sanitarie». Venticinque dei braccianti impiegati in nero, peraltro, erano percettori di reddito di cittadinanza.