BARI - «Non vi sono dubbi» sul fatto che il 26 agosto di tre anni fa l’allora dirigente regionale Mario Lerario abbia incassato una tangente da 35mila euro in contanti dall’imprenditore Antonio Illuzzi a fronte dell’assegnazione di nove appalti per 3,7 milioni di euro. E tanto basta, scrive il gup Giuseppe Ronzino, a supportare la condanna emessa a marzo in abbreviato: altri 5 anni e 4 mesi per l’ex dirigente, quattro anni per l’imprenditore.
Il nodo di tutto è la conversazione che le microspie della Finanza hanno registrato quel giorno d’estate, mentre l’auto di Lerario era ferma nel parcheggio di una stazione di servizio. «Dottore questi sono dieci, 25 l’altra volta e dieci, questi, per la pitturazione. Non farti sgamare», dice Illuzzi mentre si sente fruscìo di carta. Secondo il giudice l’intercettazione «documenta in modo plastico la dazione, in tempi diversi, di somme di denaro da parte dell’Illuzzi a beneficio del Lerario relativamente all’aggiudicazione di contratti pubblici a favore di imprese riconducibili all’imprenditore». Lerario si era difeso sostenendo che in quella conversazione si parlasse della restituzione di somme relative a lavori in casa che il dirigente aveva commissionato a Illuzzi, oltre che del ritardo della Regione nella liquidazione delle fatture. Ma il gup non ci ha creduto. «L’ascolto diretto delle conversazioni (effettuato da questo giudice) non può generare equivoci di sorta», e comunque quella della difesa è «una versione assolutamente non credibile»...