BARI - Nuove accuse per Alessandro Angelillo, l’assassino - oggi 49enne - di Anna Costanzo, la truccatrice del teatro Petruzzelli uccisa la notte tra il 10 e l’11 luglio 2009 nella sua casa nel rione barese di San Girolamo. Angelillo è fino in carcere per il delitto (con una condanna irrevocabile a 16 anni e 6 mesi di reclusione) il 13 novembre di quell’anno. Fine pena 21 febbraio 2024 ma da gennaio, quindi dopo poco più di 13 anni anni, ha lasciato la cella ed è detenuto ai domiciliari grazie alla legge «svuotacarceri». In un permesso di dieci giorni fuori dal penitenziario di Volterra dove era all’epoca detenuto, nell’agosto 2019, avrebbe però violato un vecchio divieto di avvicinamento nei confronti della ex fidanzata, che era stato disposto nei suoi confronti qualche giorno prima che venisse arrestato per l’omicidio. Il processo, più volte rinviato dopo la citazione diretta a giudizio firmata dalla pm Luisiana Di Vittorio, approderà in aula il 13 marzo.
LA VICENDA - Angelillo, all’epoca 35enne, nel 2009, aveva due relazioni sentimentali, una con la truccatrice che poi uccise e una con un’altra donna, la quale però aveva deciso di lasciarlo. Era proprio l’estate di quell’anno quando l’uomo, che non accettava la fine della relazione, avrebbe iniziato a manifestare comportamenti di «crescente aggressività», «sbatteva i pugni, alzava la voce, lanciava oggetti per aria» raccontò la ex. Poi, a luglio, l’omicidio di Anna Costanzo. Lui fu subito ritenuto il principale sospettato e mentre la Polizia indagava sul delitto, avrebbe continuato a molestare - era l’accusa da cui poi è stato del tutto scagionato - l’altra donna con cui aveva avuto una contemporanea relazione, la quale a un certo punto lo denunciò. Era il 10 novembre 2009. Sulla base delle accuse della ex, ad Angelillo la Polizia notificò un provvedimento di divieto di avvicinamento per i reati di violenza privata, lesioni personali ed ingiuria. Trascorsero solo 3 giorni (13 novembre 2009) e l’uomo finì in carcere per l’omicidio. Quindi, da detenuto, ha affrontato i due processi: quello per le presunte molestie e, in abbreviato, quello per la morte di Anna Costanzo.
I PROCESSI - A ottobre 2010 Alessandro Angelillo fu assolto dalle accuse di violenza privata e ingiurie nei confronti della ex e condannato per il reato di lesioni personali a nove mesi di reclusione. In appello, ad aprile 2011, fu assolto anche dall’accusa di lesioni. La sentenza arrivò il giorno prima della requisitoria della pubblica accusa nel processo per il delitto Costanzo. Il gup, a giugno di quell’anno, inflisse 30 anni di reclusione per omicidio volontario pluriaggravato, dalla premeditazione e dalla crudeltà. A ottobre 2012 la Corte di Assise di Appello dimezzò quasi la condanna, escludendo l’aggravante della crudeltà, riducendo la pena a 16 anni e 6 mesi di reclusione (confermati dalla Cassazione a febbraio 2014). Da quasi 14 anni quindi, Angelillo sconta la condanna per il delitto di una delle sue ex fidanzate, mentre dalle accuse sulle violenza all’altra ex era stato già scagionato. Tuttavia non gli sarebbe mai stata revocata - sostiene la difesa - la misura cautelare del divieto di avvicinamento che era stata applicata sulla base di quelle condotte.
LA NUOVA ACCUSA - Durante un permesso premio, nell’agosto 2019, Angelillo - è il reato che gli viene ora contestato - si sarebbe appostato davanti all’ufficio dove lavorava la ex (la stessa che dieci anni prima lo aveva denunciato) «fissandola con un sorriso di scherno» si legge nell’imputazione, seguendo con lo sguardo tutti i movimenti della donna, tanto da farla «spaventare a morte», per poi allontanarsi dopo che lei, dopo aver incrociato una pattuglia di Polizia locale, ad un semaforo su via Capruzzi, avrebbe chiesto aiuto. La ex lo denunciò, dicendosi impaurita da quel comportamento e la Procura ha ritenuto che essersi appostato davanti all’ingresso del posto di lavoro sia stata una violazione del «divieto di avvicinamento» a quella stessa donna disposto anni prima.
Così ne ha chiesto il processo, che deve ancora essere celebrato. La difesa, rappresentata dall’avvocato Francesco Andriola, sosterrà che quel divieto aveva perso la sua efficacia, essendo stato assolto ormai da anni dai reati sulla base dei quali era stato adottato.