Parla la madre della donna
Bari, dopo 15 anni di soprusi uccide il marito. Nonna Beatrice: «Le vere vittime sono i bimbi»
Li chiamano orfani speciali: vengono definiti così i figli di vittime di femminicidio che, in un disperato attimo, rimangono orfani di madre e padre, l’una uccisa e l’altro detenuto perché omicida
«C’è chi mi dice “Tu c’eri, quel maledetto giorno, e non hai fatto nulla per fermarli”. Io mi dico “Perché mia figlia e non io? Cicatrici. Il resto della mia vita, adesso, è solo una grande, incancellabile cicatrice. Ma i miei nipoti no, loro non hanno colpa. Vivo per loro, hanno diritto a trovare la serenità. La normalità». Beatrice ha 57 anni. Racconta la sua storia senza enfasi, senza pathos. Deve aver finito le lacrime, la disperazione diventa lucida quando ti mette nell’angolo. Un’analisi spietata dei fatti che, tre anni fa, hanno sconvolto la sua vita, la sua famiglia portandola a diventare tutor di tre nipoti di 14, 12, 7 anni, figli di sua figlia. Li chiamano orfani speciali: vengono definiti così i figli di vittime di femminicidio che, in un disperato attimo, rimangono orfani di madre e padre, l’una uccisa e l’altro detenuto perché omicida. Ma nella storia degli orfani affidati a Beatrice, c’è un’ulteriore drammatico particolare: non si tratta di un femminicidio, ad essere ucciso è stato il padre. Una coltellata inferta dalla moglie, la madre dei tre bambini, durante l'ennesimo episodio di botte e violenza.
«Mia figlia Adriana e Alberto (nomi di fantasia - n.d.r.) si sono conosciuti da ragazzini – comincia a raccontare - 14 anni lei, 16 lui. Dopo poco tempo sono partiti per Milano, hanno fatto quella che chiamiamo la “fuitina”. Ma sono rientrati in paese dopo tre mesi: Alberto aveva sferrato un calcio ad Adriana alla prima gravidanza e avevano perso il bambino». «Avevano», Beatrice usa il plurale. «È andata avanti così per 15 anni. Mia figlia è sempre stata massacrata di botte, violenza fisica e psicologica. Sette mesi prima di quel giorno, Adriana era stata lasciata per terra quasi morta. Sempre così: i vicini chiamavano i Carabinieri, arrivavano e finiva lì. Lei non ha mai voluto denunciarlo. Ancora oggi, quando vado a trovarla nella struttura protetta dove vive, mi racconta di sognarlo. Di amarlo ancora. Che gli manca. La capisco, anche io sento di volergli bene, in fondo li ho cresciuti entrambi. Le ho sempre detto e lo dico a tutte le figlie di questo mondo: al primo schiaffo andate via. Al primo. Ma lei mi rispondeva che aveva sbagliato lei. Ogni volta.».
Adriana, in un periodo in cui era riuscita a lasciare il marito, aveva anche trascorso un periodo in un centro antiviolenza. «Le avevano proposto di trasferirsi in un'altra città, lei e i bambini. Ma poi si erano riappacificati. La tregua però è durata poco». Beatrice non si ferma, non ha bisogno di domande per lasciar andare le risposte, se ce ne sono, ma che non trova lei per prima. «Non giustificherò mai l’azione di mia figlia. Eppure mi mancano quelle giornate di festa trascorse tutti assieme: Alberto era un ragazzo allegro anche se è sempre stato violento. Negli ultimi tempi però, aveva cominciato a bere e a drogarsi. E la droga lo ha distrutto definitivamente. Mi mancano tutte e due, lui e mia figlia. E mancano ai bambini».
Cosa dicono i suoi nipoti? «Hanno solo me come punto di riferimento. Un’ordinanza del giudice ha vietato alla famiglia del padre di avvicinarli. abbiamo anche dovuto cambiare città. I bambini come reagiscono? Ognuno di loro in modo diverso. E un giorno non è uguale all'altro. I primi tempi guardavano a ripetizione i video dei loro genitori - racconta - adesso li ricordano a memoria, li hanno visti così tante volte. Non li chiedono più. La maggiore posta su TikTok i ricordi con suo padre: erano inseparabili, lo adorava. Il maschietto è più taciturno, incassa e fa spallucce quando gli chiedo se qualcuno lo provoca. La più piccolina è la più vivace, spensierata. Per fortuna non ha ricordi vivi. Però quando l'accompagno alle recite scolastiche e vede le altre mamme e i papà scoppia a piangere “portami via nonna”. Io sto lì, a raccogliere i cocci. E quando mi vedono triste li tranquillizzo, ho solo mal di testa».
Beatrice non lavora più da quando ha l'affidamento dei bambini. «Ero in una cooperativa di assistenza domiciliare agli anziani. Mi hanno licenziata quando, dopo i primi mesi che i piccoli erano stati affidati a mio figlio e mia nuora perché io non ci stavo con la testa, li hanno affidati a me. Non riuscivo più a coprire gli orari di lavoro». Beatrice ha quattro figli. «Ma con due di loro non ho più rapporti perché mi colpevolizzano: quel giorno non hai fatto niente per fermarli. C'eri e non hai fatto niente». Alberto, nonostante si fosse “separato”, solo a parole, da Adriana, continuava ad abitare nella stessa palazzina: lui al piano di sopra, Adriana coi figli al piano di sotto.
«Quel giorno» Beatrice ha la forza di raccontarlo passo passo: «La nuova compagna di Alberto, che aveva conosciuto qualche giorno prima su Fb, aveva schiaffeggiato la piccolina. Hanno cominciato a litigare. Cazzotti e calci. Due contro una. Ero presente e cercavo di dividere le due donne e di fermare anche la ferocia di mio genero. Ho spinto mia figlia nell'appartamento, e ho fatto scudo con il mio corpo davanti alla porta. La compagna di Alberto era salita a prendere un'accetta. Stavo riuscendo a calmare Alberto quando in un attimo mia figlia è comparsa con un coltello da cucina. Alberto l'ha presa per i capelli, e le ha sferrato l'ultimo cazzotto della sua vita. Ero davanti a lui quando mia figlia lo ha colpito. Un attimo, e sono diventata una maschera di sangue. Quel giorno, oltre a me, erano presenti la mia nipote più grande e la più piccola». Adriana è stata condannata a 14 anni di reclusione, con l'accusa di omicidio. Ora è in una casa protetta. In autunno ci sarà l'appello. Beatrice può incontrare la figlia una volta al mese per un'ora, mentre Adriana, che ha tentato più volte il suicidio, può vedere i suoi bimbi ogni 15 giorni.
«Sia io che i bambini stiamo facendo un percorso con il Policlinico e l’Ospedaletto, con psicologi e assistenti sociali da tre anni – conclude Beatrice -. Soprattutto sulla maggiore si vedono cambiamenti: era violenta, ora mi dice che conta fino a dieci prima di lasciarsi andare. Il suo unico amico è il cugino. Un giorno è venuta da me in lacrime perché la madre di una sua amica non voleva portarla a una festa. “Tu con la figlia dell'assassina non ci vai”. Mi chiedo che colpa hanno i bambini. I miei nipoti fanno progetti per quando saranno daccapo con la mamma. Vogliono viaggiare, dove non si sa. L'importante è stare tutti insieme, vero nonna?».