Il caso
Bari, prof universitario discrimina donne in lezione online: sospeso VIDEO
La decisione è stata assunta dopo il video diffuso dalla Gazzetta in cui il docente è stato ripreso mentre esprimeva affermazioni sessiste durante una lezione
BARI - Il rettore dell’Università di Bari Stefano Bronzini ha disposto «nelle more di definitive determinazioni in merito, l’immediata sospensione del dottor Donato Mitola dall’incarico di cultore della materia e da qualsiasi altra attività di didattica e di ricerca di questa Università». La denuncia nasce dalla pubblicazione, da parte della Gazzetta, dei video di alcune lezioni del docente ripresa poi in una nota da parte di una associazione studentesca che in una nota si sono rivolti al presidente della Scuola di Medicina, il professor Loreto Gesualdo.
L’Ateneo barese parla di «frasi lesive della parità di genere espresse che ad un primo esame contravvengono ai principi fondamentali enunciati dal Codice Etico di questa Università e, più in particolare, a quelli di eguaglianza e non discriminazione».
«L'Università degli Studi di Bari Aldo Moro - dichiara il rettore Bronzini - sarà sempre attenta e vigile sui temi dell’uguaglianza e condannerà sempre qualsiasi atto di discriminazione, diretta e indiretta, morale, fisica o psicologica, relativa al genere, all’età, all’orientamento sessuale, alla razza, all’origine etnica, alla diversa abilità, alla religione, alla lingua, alle convinzioni personali e politiche nonché alle condizioni personali e sociali».
La prima puntata delle Mitoleidi è qui https://t.co/GKR9EI7fFq
— Massimiliano Scagliarini (@m_scaglia) November 17, 2020
LA NOTA DI ANM BARI - "La Giunta ANM di Bari apprende con incredulità, da notizie di stampa, che in una lezione di Bioetica, rivolta agli studenti del primo anno di medicina dell’Università di Bari e tenuta dal prof. Donato Mitola, indicato come cultore della materia, si è sostenuta, tra tante assurdità concernenti promiscuamente diversi temi in trattazione, anche la tesi che in magistratura non possano essere presenti “giudici donne, perché giudicare vuol dire essere imparziali e le donne invece sono condizionate dall’emotività”; ricorda che l’ingresso delle donne in magistratura avvenne a seguito dell’approvazione della legge n. 66 del 1963, originata dalla forte spinta democratica riveniente dalla sentenza n. 33 del 1960 della Corte Costituzionale, che aveva dichiarato l’illegittimità della disposizione che escludeva in generale le donne dagli uffici pubblici che implicavano l’esercizio di diritti e di potestà politiche; sottolinea che il superamento dei preesistenti modelli culturali discriminanti, dapprima a più riprese con l’interpretazione dei basilari principi costituzionali ad opera della Consulta e poi con l’adeguamento normativo della disciplina del reclutamento dei magistrati, circa cinquant’anni fa, ha reso possibile, con il mutamento della composizione di genere derivante da quella conquista di civiltà, l’innesco di un processo di profonda trasformazione della magistratura nella consapevolezza comune che sapere scientifico e sensibilità siano elementi complementari ed imprescindibili in grado di fornire le migliori risposte giudiziarie alla tutela dei diritti fondamentali di una società;
respinge con forza la riproposizione, in termini falsamente scientifici ed addirittura in un contesto universitario per la formazione degli studenti di medicina, di duri pregiudizi, schemi logori, stereotipi banali e idee evanescenti che, reintroducendo posizione retrive ed aberranti, sono ormai sepolti dal sentimento diffuso e dal pensiero comune perché del tutto contrari ai valori di libertà e di eguaglianza;
rimarca che proprio l’equilibrio innato, lo straordinario apporto culturale, il coraggio civile e la notevole tenacia delle donne, peraltro in numero sempre maggiore in magistratura, hanno finalmente permesso di introdurre nella giurisdizione una sintesi perfetta tra le sfaccettature della sensibilità umana e la professionalità nascente dal mero rigore scientifico, consentendo, per un verso, di conciliare i valori tradizionali con i più alti principi di innovazione sociale e, per altro verso, di arricchire la qualità della risposta giudiziaria in tutti i settori del diritto;
chiede, pertanto, che l’Università di Bari intervenga adottando tutte le iniziative possibili per stigmatizzare con la dovuta fermezza le cennate posizioni culturali e per impedire che simili steccati stantii di un pensiero ancora intollerabilmente discriminatorio possano riaffiorare addirittura negli studi di formazione degli studenti universitari".
“Siccome il Dna è sempre quello, se fai l’aborto uccidi una persona”. Continuiamo con le lezioni di Bioetica nel corso di Medicina della @unibait di Donato Mitola, che stavolta sbatte contro uno studente: “Quindi se mi gratto via una cellula commetto omicidio?” pic.twitter.com/oYfQdodex1
— Massimiliano Scagliarini (@m_scaglia) November 18, 2020