Il punto

Stati generali Cgil a Bari: partita tutta da giocare per ripartire col lavoro

Leonardo Petrocelli

Nella manifestazione di ieri, la Cgil rievoca un ritorno attivo dell’impresa pubblica e dello Stato nella dimensione economica e produttiva, ribadendo la centralità dei contratti nazionali e rilanciando sullo sviluppo infrastrutturale e culturale del Mezzogiorno

BARI - Di tutto si può accusare Maurizio Landini tranne che di mancanza di sincerità. Il leader nazionale della Cgil, dal Petruzzelli di Bari, lo ha detto e ripetuto chiaro e tondo, senza peli sulla lingua : «La nostra è una proposta di parte». Come è giusto che sia e come dovrebbe essere sempre.

Per troppi anni la politica italiana, quella delle idee prima ancora che delle manovre di palazzo, è stata ingabbiata nella weberiana «gabbia d’acciaio»: uno spazio chiuso, da cui nessuno poteva evadere e nel quale i margini di manovra si rivelavano ristrettissimi.

Di fatto, tutti finivano per (dover) dire la stessa cosa in un festival della carta carbone da cui poi, per contrappunto, sono germogliati rabbiosi i populismi. Ben venga dunque, da tutte le parti, l’andare oltre il dettato del mondo globale. La Cgil, ieri, ci ha messo il carico, rievocando un ritorno attivo dell’impresa pubblica e dello Stato nella dimensione economica e produttiva (non solo come «arbitro», ma come «pensatore»), ribadendo la centralità dei contratti nazionali e rilanciando sullo sviluppo infrastrutturale e culturale del Mezzogiorno. Con un occhio all’ambiente e uno alla formazione, quale antidoto alla desertificazione occupazionale. Leva di tutto questo, però, dovrebbero essere quelle risorse europee attese ormai come il messia nei giorni della fine del mondo. Un’aspettativa forse eccessiva. Al netto, come più volte hanno chiarito gli economisti di estrazione liberale e come ha tentato di ricordare ieri il ministro Patuanelli, le risorse non saranno quel ciclone di denari che tutti si aspettano di veder piovere dal cielo. E poi, ricordarlo non guasta, dovranno essere restituite e, soprattutto, ci sarà un prezzo da pagare. Per dirne una, «quota 100» sarà la prima riforma a saltare. Indipendentemente da come la si giudichi, è un pezzo di welfare che probabilmente se ne andrà.

La partita, insomma, sarà dura. Non solo il tempo è poco, una «spina» evocata quasi ossessivamente durante la manifestazione, ma tenere tutto insieme non sarà impresa facile così come non lo è stato alzare gli argini difensivi per contrastare i disastri della pandemia, nonostante la «bomba d’acqua» (questa sì) di denari in deficit che ha nutrito i decreti nei mesi del calvario. «La tempesta perfetta», evocata da monsignor Santoro, è dietro l’angolo. Ben vengano dunque proposte forti e stimoli vibranti per nutrire il dibattito. Non è più tempo di dogmi né di gabbie d’acciaio. La pandemia ha fatto piazza pulita del pensiero acritico. E, forse, alla fine è vero. La partita che si giocherà nel prossimo futuro sarà quella decisiva.

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