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Covid 19, infermiera da Turi a Milano: «Vi svelo i segreti di Trivulzio»

 
Valentino Sgaramella

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Valentino Sgaramella

Maria Rosaria Laera

«Nel Pio Albergo Trivulzio i miei colleghi erano senza dispositivi di protezione»

Lunedì 27 Aprile 2020, 14:59

BARI -  «Il vero focolaio in Lombardia è nelle residenze sanitarie assistenziali. Quello a cui abbiamo assistito al Pio Albergo Trivulzio è incredibile. Negavano l’infezione ai parenti e negavano guanti e mascherine agli operatori sanitari. È chiaro che il virus si è diffuso a macchia d’olio. Se un magistrato milanese vorrà ascoltare anche me, sono disponibile». Maria Rosaria Laera 49 anni infermiera di Turi ha lasciato il proprio paese e il suo lavoro al 118 per andare da volontaria a Milano in una delle task force istituite dalla Protezione civile.

Al suo gruppo hanno assegnato l’esecuzione dei tamponi a pazienti, medici e infermieri specie delle strutture per anziani come il Trivulzio. «Quando siamo arrivati, a metà aprile, gli operatori sanitari lombardi non avevano a disposizione i dispositivi di protezione individuali a norma. Il mistero è che lo Stato li ha distribuiti ma una volta giunti in Lombardia non sono stati dati agli ospedali, non so perché. Sono stati distribuiti dispositivi non a norma ben sapendo che quelli a norma c’erano». Ma è sul Pio Albergo Trivulzio che la testimonianza dell’infermiera pugliese diventa raggelante. «In quella casa di riposo non c’era nemmeno un percorso che separasse gli operatori a contatto con i pazienti positivi né che separasse gli stessi operatori positivi da quelli negativi. I miei colleghi si sono ritrovati sprovvisti di dispositivi e si sono rifiutati di iniziare il lavoro nel Trivulzio. Hanno fatto bene, sicuramente si sarebbero ammalati. Abbiamo allora immediatamente contattato Angelo Borrelli, capo della Protezione civile, che ci vietò in maniera assoluta di iniziare a lavorare sprovvisti di Dpi a norma e di pretenderli assolutamente perché erano già stati consegnati a Milano.

Ma l’Asl ci inviò una lettera dai toni intimidatori». Nella lettera veniva chiesta agli operatori una dichiarazione scritta che attestasse il rifiuto a lavorare nella Rsa. Nessuno ha scritto quella lettera ed è stato viceversa nuovamente contattato Borrelli. «Lui ha immediatamente telefonato all’Asl - riferisce Laera - e ha chiesto spiegazioni. Dopo 15 minuti da quella telefonata sono arrivati i Dpi a norma». L’infermiera sa bene delle indagini in corso sul Trivulzio. «Quando siamo arrivati lo scandalo era già esploso. Alcuni dirigenti ci hanno intimiditi, volevano che tornassimo a casa». L’altro errore fatto a Milano secondo l’infermiera è il trasferimento autorizzato dalla Regione Lombardia di pazienti positivi dagli ospedali all’interno delle case di riposo. «Le case di riposo sono bombe a orologeria. Se non si spengono questi focolai, se continuiamo a mandare al macello gli operatori sanitari senza protezione, questi tornano a casa positivi ma asintomatici. Vanno nelle loro famiglie, al supermercato a fare la spesa, vanno in giro e contagiano chiunque. Questo continua ad accadere».

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