convivere con l'emergenza

Locali, a Bari luci riaccese «Ma sarà l’ultima volta». Mercoledì la consegna delle chiavi a Decaro

Marco Seclì

I titolari di ristoranti, pub, pizzerie non intravedono alcuna garanzia per il futuro e lanciano un sos a cittadini e istituzioni

Riaprire o chiudere per sempre. Correre il rischio che la «fase 2» si trasformi in un boomerang o gettare la spugna definitivamente, lasciando per strada migliaia di dipendenti. I titolari di ristoranti, pub, pizzerie non intravedono alcuna garanzia per il futuro e lanciano un messaggio a cittadini e istituzioni: un Sos, un grido di dolore e un modo per dare la sveglia.

Martedì sera alle 21, in tutta Italia, riaccenderanno le insegne dei locali, spente da settimane. «E in molti potrebbero farlo per l’ultima volta», avvertono. La mattina dopo consegneranno simbolicamente ai sindaci le chiavi delle loro attività.

Tra i protagonisti dell’iniziativa, in scena da Nord a Sud, c’è il Movimento Impresa, che partendo da Bari in poche settimane ha raccolto in Puglia le adesioni di un migliaio di operatori dell’«Horeca» (sigla che comprende i settori accoglienza, ristorazione, caffè/catering), cui ultimamente si sono aggiunti gli imprenditori del wedding (proprietari di sale ricevimento) e del pubblico spettacolo.

Le varie associazioni regionali si sono riunite nella Federazione nazionale di imprenditori della ristorazione, ribattezzata «Mio», che sta per Movimento imprese ospitalità ma che dà pure il senso di attività, anche storiche, abituate da sempre a rischiare in proprio ma che oggi vedono il capolinea vicino. «Le misure che lo Stato potrebbe prendere per l’eventuale riapertura di ristoranti, bar, pizzerie, pasticcerie, discoteche e lidi balneari sono insostenibili per la gestione ordinaria di un locale e insopportabili economicamente - denuncia il Movimento - vogliamo fortemente aprire e tornare al lavoro, ma oggi non ci sono i presupposti economici. Ci stanno chiedendo di aprire con gli stessi costi, se non maggiori rispetto a prima dell’emergenza sanitaria - sottolineano - con una previsione di incassi nella migliore delle ipotesi pari al 30% sull’anno precedente».

E per richiamare l’attenzione sui problemi della categoria, per martedì hanno lanciato «Risorgi Italia» la prima grande manifestazione nazionale del settore. Una manifestazione dichiaratamente di protesta. Sono 75mila, dal Veneto alla Campania, dalla Puglia alla Sicilia, le imprese coinvolte. Il fatturato dell’«Horeca» in Italia è stimato in 87 miliardi di euro, per 500.000 attività commerciali e un totale di un milione 500mila dipendenti, incluso l’indotto. «Si prevede, purtroppo, che un locale su due dovrà chiudere - dice «Mio» - o ancora peggio verrà ceduto a pochi euro a chi magari vuole riciclare denaro sporco. Il sostegno della collettività è necessario nell'interesse comune ed è impensabile immaginare una società in cui crolli l'attività produttiva della piccola impresa ma resti tutto invariato per la componente politica, amministrativa e burocratica: se falliscono queste attività, le conseguenze coinvolgeranno tutti».

Martedì mattina, sarà il presidente di Movimento Impresa, Pasquale Dioguardi, a consegnare le chiavi riposte in un cesto dai colleghi titolari di locali al sindaco di Bari, Antonio Decaro.

«Non è un gesto polemico nei confronti dei sindaci - chiarisce il vicepresidente del movimento pugliese, Maurizio Mastrorilli - ma simbolico, per chiedere la loro attenzione e il loro sostegno alle nostre istanze».

Mastrorilli, come tanti altri, sta già cercando di studiare soluzioni per la riapertura del suo locale. Ma le difficoltà sembrano insormontabili anche perché, in assenza di direttive precise, si brancola nel buio. Quel che è già certo è che i costi di gestione aumenteranno divenendo in molti casi insostenibili. «Ho fatto fare un preventivo - racconta - per installare delle paratie divisorie in plexiglass e dovrei spendere solo per questo 2.500 euro, a fronte di una riduzione dei coperti che nel mio caso passerebbero da una media di trenta a meno della metà. Poi ci saranno le spese per i detergenti, per le mascherine e per tutto il resto. Intanto gli altri costi, dall’affitto al personale, rimarranno invariati. Non vediamo un euro da due mesi, come si può pensare di poter sopravvivere così, con spese in aumento e un terzo dei coperti?».

Mastrorilli, a nome della categoria, solleva un altro problema non di poco conto. «Cosa succederebbe se un nostro dipendente si ammalasse? Verremmo sanzionati e messi in quarantena? Il locale sarebbe chiuso per essere sanificato? Saremmo additati come untori? E chi andrebbe in un locale colpito dal contagio? No, non ci possono dire di riaprire per poi costringerci a pagarne le conseguenze».

Gli imprenditori segnalano pure le incongruenze sulla gestione dei clienti. «Una famiglia che in casa vive assieme, una volta nel locale dovrebbe essere separata, così come un gruppo di amici che magari arrivano insieme nella stessa auto. Una serata nei nostri locali è anche un’esperienza sensoriale, rappresenta un momento di svago e di convivialità. Queste condizioni ne falsano la funzione e allontanano le persone». C’è poi il problema dell’uso dei dispositivi di protezione, guanti, mascherine, che per i cuochi in cucina o per i camerieri possono diventare un ostacolo non indifferente nello svolgimento del lavoro. Da qui lo studio di un protocollo Haccp da proporre al premier Conte, con la richiesta che nella task force del governo sull’emergenza «ci sia una delegazione del Movimento per illustrare le reali necessità e incongruenze che ci sono nei decreti attuali. Chi meglio di chi fa questo lavoro può rappresentarne istanze e necessità?».

Il settore lamenta anche i gravi ritardi nell’erogazione degli assegni di integrazione salariale al personale. «Ci sono dipendenti disperati, ai quali non sappiamo più cosa rispondere», lamenta amaro Mastrorilli.

Gli operatori, in assenza di un serio intervento di sostegno, paventano l’inevitabile chiusura. «Ristoranti, bar, pizzerie, locali da ballo ed il settore del turismo sono le attività che mandano avanti il nostro Paese e in questo momento, ahimè, le più penalizzate - rimarcano - se lo Stato non interviene immediatamente, con gli adeguati strumenti rischiamo di perdere il patrimonio economico più importante del nostro Paese». E, nonostante tutto, sperano ancora che, dopo la manifestazione di martedì 28 aprile, «il prossimo anno, nella stessa data, potremo tutti scendere in piazza per celebrare la rinascita, il risorgere di una categoria che rischia con il suo indotto di scomparire ma che grazie alla sua coesione, forza e unione ha resistito e potrà celebrare questa vittoria».

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