CORONAVIRUS
Bari, le dottoresse in albergo: «Qui coccolate e amate»
Diario dall’alloggio dove riposano (poco) i medici in forza a Bari
Le stanze d’albergo come rifugio affettivo. Piccole oasi di conforto e introspezione nel grande dolore quotidiano. Il dopo reparto per circa ottanta sanitari del Policlinico si snoda, da qualche giorno, in una camera di hotel, rigorosamente singola. È lì che il frastuono molesto delle apparecchiature elettroniche per i pazienti in fame di ossigeno cede il passo al silenzio. Eppure flash confusi della giornata continuano a far rumore e si mangiano spesso anche il sonno.
«Non è semplice, ma facciamo di tutto per dormire, lo dobbiamo ai nostri pazienti che si aspettano il massimo delle energie», raccontano medici e infermieri. Quel vassoio di portate calde offerte dall’hotel HI, seppur lasciato al di là della porta, rappresenta una carezza in più. O forse l’unica della giornata. «I miei, a Gravina, non li vedo da due mesi - riferisce Carla Santomasi, 29 anni, specializzanda neoassunta in terapia intensiva respiratoria Covid -. Fino a qualche giorno fa, dopo il lavoro rientravo nella mia casa a Bari, condivisa con altre coinquiline. Non appena ho avuto la possibilità di lasciare temporaneamente quell’appartamento, l’ho fatto. Certo, ho pensato, non sarà sicuramente come tornare a casa». Un fugace trasloco, un saluto con gli occhi stanchi e malinconici, nell’illusione che con la bocca bardata dalla mascherina le emozioni non trapelino facilmente. «Allo scetticismo iniziale è seguita una realtà diversa, non messa in conto - continua la dottoressa -. Qui è un po’ come essere in famiglia, sono tutti gentili e disponibili».
Le misure anti contagio valgono anche nell’albergo, completamente riorganizzato grazie alla collaborazione tra i titolari e il preside della facoltà di Medicina, Loreto Gesualdo. Si entra dal garage e dopo un pre-triage fatto tra colleghi, in ascensore si raggiunge direttamente il piano in cui si trovano le rispettive stanze, rigorosamente in mascherina e copri scarpe. Inoltre, l’hotel ha predisposto spazi riservati al solo personale e ambienti in cui i sanitari possono accedere liberamente, sempre con il massimo delle precauzioni.
«Qui l’isolamento fisico si mescola all’umanità - racconta Isabella Ramunni, 32 anni, specializzanda neoassunta in rianimazione Covid -. A volte, mentre trascorriamo le giornate avvolte da camici e mascherine, pensiamo di essere soli. Però, tornando in questo rifugio, piccoli pensieri, sguardi e gesti ci fanno comprendere quanto siamo fortunati a vivere in un Paese altruista come il nostro», conclude la dottoressa che ha lasciato a Conversano i suoi affetti.
Ma il suono della musica aiuta anche ad alleviare il cuore dalle mancanze. «In filodiffusione giungono in tutte le stanze sonorità rilassanti», sottolinea Maria Luisa De Candia, 30 anni, specializzanda, frequentante della terapia intensiva respiratoria Covid, in contatto telefonico con la famiglia. «Qui siamo coccolate. Oggi, con la cena (ieri, ndr), c’era un bigliettino con su scritto “Grazie”».