il far west del lattiero-caseario
Se la burrata è «made in Cina»
Produttori inferociti: anche le nostre eccellenze finiscono nel giro della contraffazione
Valentino Sgaramella
Burrata e stracciatella di terra di Bari? È una parola. E con le parole bisogna andarci cauti specie se poi scopri una finta giornalista cinese che giunge nel caseificio di Noci di Giovanni D’Ambruoso (la sua testimonianza è riportata in pagina) e chiede se si possa scrivere un articolo sulle procedure di lavorazione dei prodotti lattiero-caseari pugliesi. E poi D’Ambruoso, che esporta in Cina, si ritrova davanti un caseificio che produce prodotti caseari pugliesi. Entra nel caseificio e dietro il bancone chi trova? La finta giornalista che ha imparato la tecnica di lavorazione ed ora produce derivati del latte made in Puglia.
«Il fenomeno della contraffazione e della imitazione dei prodotti agroalimentari italiani ha assunto una tale gravità da far istituire in Italia una commissione parlamentare d’inchiesta dalla cui relazione è emerso che l’attività di contraffazione dei prodotti alimentari unitamente al fenomeno dell’italian sounding (imitazione) evidenza un giro d’affari stimato estremamente rilevante». Lo riferisce Francesco Mennea, coordinatore del consorzio della burrata di Andria. Del suo consorzio fanno parte anche aziende casearie di Putignano. «Il giro d’affari è enorme – dice Mennea - circa 60 miliardi di euro nel mondo, più di 2 volte l’export italiano di prodotti originali e 22 miliardi di euro in Europa, contro un export di 13 miliardi per i prodotti originali».
I dati sono stati ribaditi dall’ambasciatrice italiana in Belgio, Elena Basile, durante l’evento «True Italian Taste» organizzato in ambasciata lo scorso 5 febbraio. L’Italia perde 20 miliardi di euro a causa di quei prodotti che utilizzano nomi italiani storpiati o immagini riconducibili all’Italia, e come l’economia parallela di prodotti contraffatti abbia un giro d’affari di 60 miliardi di euro. Così anche per la Burrata di Andria, eccellenza nata in questa città del nord-barese agli inizi degli anni trenta del 1900: «La necessità di tutelare il prodotto originale da frodi e imitazioni ha spinto le nostre aziende produttrici a costituire l’associazione dei produttori e a richiedere il riconoscimento del marchio d’origine Igp».
Al fine di garantire l’originalità del prodotto è stato redatto, quindi, il disciplinare di produzione che ha definito le modalità produttive in termini di qualità della materia prima, prevedendo parametri stringenti in termini di livello di proteine, grassi, sicurezza alimentare, di tecniche di produzione nel rispetto della tradizione ed a garanzia dell’elevata qualità del prodotto, oltre a prevederne la totale tracciabilità che deve essere sempre garantita.
Il Disciplinare di Produzione è un sistema di regole, approvato dal Ministero dell’Agricoltura prima e riconosciuto dall’Unione Europea.