Il commento
Draghi, riforme a costo zero più importanti di opere costose
Se Mario Draghi avesse anteposto l’interesse personale davanti a ogni cosa, tutto avrebbe fatto tranne che accettare la designazione a capo del governo. Un altro, al suo posto, avrebbe pregato il presidente Sergio Mattarella, artefice della nomination, di lasciar perdere. A pochi mesi dal rinnovo dell’incarico quirinalizio, solo un papabile disinteressato (al Colle), o un inguaribile autolesionista, avrebbe accettato di trasferirsi a Palazzo Chigi, la dimora più sconsigliabile per chi coltiva l’ambizione di salire sulla vetta politica più alta del Paese. In 75 anni di storia repubblicana, infatti, non solo non è mai accaduto che un presidente del Consiglio in carica sia diventato capo dello Stato (solo dopo anni di decantazione, quattro ex premier - Antonio Segni (1891-1972) Giovanni Leone (1908-2001), Francesco Cossiga (1928-2010) e Carlo Azeglio Ciampi (1920-2016) - si sono insediati nella dimora già dei papi e dei Savoia), ma addirittura non è mai accaduto che un presidente del Consiglio in carica sia stato candidato per il più prestigioso ufficio della nazione. Neppure ad Alcide De Gasperi (1881-1954) venne riservato questo onore.
Draghi è il primo a sapere che la storia nazionale non gioca a favore del suo trasloco da Palazzo Chigi al Quirinale, dal momento che un capo del governo, chiunque egli sia, è di per sé un uomo di parte, il che non giova alla promozione istituzionale. Ma, nonostante queste riflessioni dissuasive, Draghi ha ugualmente accettato la sfida più difficile: guidare, dall’esecutivo, la nave Italia nel periodo più traumatico dell’ultimo mezzo secolo.
Spirito di servizio? Voglia di misurarsi con l’incerto? Senso di responsabilità nei confronti del Paese e di Mattarella? Disinteresse per il proprio curriculum, già stracolmo di medaglie? Pressing da parte delle cancellerie di mezzo mondo e dell’Europa in particolare? Voglia di smentire le Cassandre nazionali? Desiderio di dimostrare al resto del mondo che anche la Penisola è governabile? Chissà. Forse un cocktail di tutti questi elementi.
E però, per usare un’espressione del medesimo Draghi, utilizzata a proposito delle ultime e meno restrittive misure anti-Covid, anche la sua sfida di governo possiede le stimmate del «rischio ragionato» o del «rischio calcolato» (dipende dalle preferenze lessicali del momento).Anche perché tutto si potrebbe dire dell’ex presidente della Bce, tranne che sia un signore spericolato o un aspirante kamikaze.
Qualcuno lo ha già definito il Libro dei Sogni: è la bozza (ancora non definitiva) del piano nazionale di ripresa e resilienza presentata da Super-Mario a tutte le autorità istituzionali.
In effetti, un redivivo Charles de Gaulle (1890-1970) potrebbe cedere alla tentazione di ripescare la sua celebre battuta di fronte alle sfide epocali: «Programma vasto e ambizioso». È vero, quello di Draghi è un programma vasto e ambizioso. Ma è l’unico programma auspicabile oggi in Italia, non tanto per l’elenco delle opere (costose) da realizzare, quanto per le riforme (senza spese) da approvare. Dalla riforma della giustizia (per accorciare la durata dei processi) alla semplificazione della legislazione; dalla riforma della pubblica amministrazione all’eliminazione degli ostacoli alla concorrenza): la singolarità del Pacchetto Draghi per trainare lo Stivale dalle sabbie mobili della pandemia è che le riforme a costo zero sono più importanti e utili delle opere, costosissime, comprese nell’euro-ristoro da 200 miliardi di euro. Le riforme a costo zero sono più importanti, decisive e risolutive dei maxi-piani infrastrutturali perché senza le prime, anche le seconde sarebbero molto a rischio o, vedrebbero la luce, nella notte dei tempi.
Obiezione. Anche in passato non sono mancati premier intenzionati a riformare il Sistema Italia a colpi di modifiche istituzionali senza oneri finanziari. Ok. Ma raramente si è avvertita un’analoga determinazione, una martellante insistenza, in tal senso, così come emerge dal testo del Recovery scritto da Draghi.
L’abolizione dell’esame di stato dopo la laurea potrà sembrare una quisquilia, un’inezia, una civetteria. In realtà è la spia di una filosofia, di un modo di ragionare assai diversi da quelli del recente passato. A che serve rendere sempre più impervio, attraverso timbri burocratici, il cammino dei ragazzi verso il mondo del lavoro? Non è una contraddizione rispetto ai ripetuti proclami per la crescita economica? Ecco. Draghi, con l’eliminazione dell’esame di Stato post-laurea, ha preso una decisione che avrebbe reso felice Luigi Einaudi (1874-1961) già assertore della «vanità dei titoli di studio» nonché sostenitore dell’abolizione del valore legale del titolo di studio.
Draghi non arriva a tanto, ma si avverte nel suo piano lo scopo più dirompente dell’intera manovra: approfittare di questa situazione complicata per semplificare la vita a imprese e famiglie e, soprattutto, per cambiare la mentalità dell’intero Paese. In caso contrario, addio ai propositi di ritorno alla normalità.
Obiettivo realizzabile? Sì e no. Sì, perché ogni alternativa sarebbe deleteria e peggiorativa. No, perché nella composita, eterogenea maggioranza che sostiene il governo, le idee di Draghi sono in minoranza. Il che, peraltro, non costituisce una novità nella plurisecolare vicenda politica nazionale.
Ma, pur essendo in minoranza nel suo stesso governo, il presidente del Consiglio sa che nessun alleato, preso singolarmente, è in grado, adesso, di mettere insieme una (diversa) coalizione maggioritaria, in grado di subentrare all’attuale squadra di governo allestita dal salvatore dell’euro. Di conseguenza un po’ tutti, come si dice, devono starci e rassegnarsi a mitigare per proprie pretese.
Non solo. Quasi tutti i partiti di maggioranza sono alle prese con duri scontri al proprio interno, il che, se da un lato, preoccupa Draghi, dall’altro lato ne rafforza il ruolo, dato che uno schieramento politico alternativo oggi appare più improbabile di un abbraccio tra Andrea Agnelli e il presidente dell’Uefa.
Conclusione. Le astuzie della politica spesso risultano più numerose e imprevedibili delle combinazioni del caso. Anche se, stavolta, potrebbe verificarsi l’inatteso e cioè che le riforme a costo zero precedano le opere a costo ciclopico, quelle da Libro dei Sogni. Ma è meglio tenere i piedi per terra.