La riflessione
L’odissea della Gazzetta è al capitolo decisivo
Fa paura la crisi di un giornale. Ma fa ancora più paura l’indifferenza delle istituzioni, che nella migliore delle ipotesi, si limitano al canonico messaggio di solidarietà che non si nega a nessuno. Altrimenti, neppure quello
Se un narratore contagiato dal virus di un pessimismo estremo avesse osato immaginare solo un quinto dei capitoli della tragica odissea vissuta da La Gazzetta del Mezzogiorno negli ultimi 26 mesi, sarebbe stato preso ora per matto, ora per catastrofista, ora, nella migliore delle ipotesi, per inguaribile visionario. Invece, neppure un redivivo Omero si sarebbe mai spinto a descrivere le ultime drammatiche tappe di una storia editoriale che, a differenza del più avvincente poema di tutti i tempi, rischia di non chiudersi con il classico lieto fine. Anzi.
Come sanno i lettori e gli acquirenti della Gazzetta, oggi il nostro giornale è più di là che di qua. La sua storia (133 anni) iniziata grazie al dinamismo culturale del suo giornalista fondatore Martino Cassano (1861-1927) e alla lungimiranza imprenditoriale di un manipolo di capitani coraggiosi della migliore borghesia pugliese, rischia di infrangersi al termine di una gimkana di ostacoli e imprevisti che avrebbe stremato anche il più coriaceo tra i lottatori. Si sperava che, col tempo, sarebbe spuntato un raggio di luce, invece, come ha ricordato il documento approvato dall’assemblea di redazione, è concreto il rischio che l’imminente gara per l’assegnazione della gestione del giornale (fino al luglio 2021, quando è prevista la vendita della testata) vada deserta e che per la Gazzetta si interrompano le pubblicazioni. Salvo, chissà, riprendere - sotto le redini di un interessato Cavaliere Bianco (?) - dopo un cospicuo intervallo, con dimensioni e ambizioni assai minori: il che, peraltro, come dimostrano le vicende dell’editoria mondiale, quasi sempre si rivela un tentativo velleitario, dal momento che nessuna testata è riuscita mai a risorgere dopo mesi, o anche settimane, di assenza nelle edicole.
Non lo diciamo perché ora è in pericolo la nostra casa. Lo abbiamo detto e lo ripeteremmo in tutte le circostanze analoghe: la fine di un giornale, che è una finestra sulla realtà circostante, costituisce in ogni caso un colpo micidiale per la libertà, la democrazia e l’economia (in particolare quella di un territorio).
La Puglia non sarebbe stata la Puglia, ossia la regione più dinamica del Sud, senza la funzione di stimolo del suo quotidiano di riferimento. Idem la Basilicata, al cui balzo in avanti, non è di sicuro estranea l’opera di propulsione, informazione e formazione svolta dalla Gazzetta in tanti decenni. Mai come oggi specie in una cornice istituzionale regionalistica, il ruolo e la funzione di un giornale territoriale sono imprescindibili, per la salute del sistema politico, sociale ed economico. Altrimenti, senza giornali, chi controllerebbe il Potere per conto dell’opinione pubblica?
Si dice: c’è la Rete, ci sono i social, c’è l’informazione fai-da-te. Ok. Internet ha prodotto una rivoluzione epocale. Ma finora, da quando cioè l’invenzione del tipografo Johannes Gutenberg (1400-1468) è sfociata nella produzione dei giornali mattutini, gli strumenti del comunicare si sono fatti strada per accumulazione, non per sostituzione. La radio non ha espulso la stampa. La tv non ha eliminato la radio. Il web non ha soppresso tv e radio. Più il ventaglio di mezzi informativi si allarga, meglio è, più si arricchisce la platea di lettori e telespettatori.
Un’informazione scritta che approdasse solo sulla Rete sarebbe tutt’altra cosa rispetto all’informazione scritta assicurata dai quotidiani tradizionali. Si può obiettare che, sì, sparirebbero i giornali, ma rimarrebbero i lanci in Rete. Sì, rimarrebbero i siti. Però, i siti sono tutt’altra cosa rispetto ai giornali, la cui lettura, per dire, non è insidiata dalla dispersività che caratterizza i continui contatti con la Rete. Del resto ogni medium condiziona il messaggio, anzi si indentifica col messaggio, come ha scolpito il grande Marshall McLuhan (1911-1980).
Approfondimenti, inchieste, analisi, riflessioni, si addicono tuttora più alla stampa cartacea che alla stampa on line. Che facciamo? Chiudiamo tutto? Chiudiamo la stampa cartacea che tuttora viene saccheggiata dal web e dal video per i loro palinsesti giornalieri?
A differenza di molti settori spesso oggetto di premure statali e regionali, l’informazione giornalistica occupa una posizione di rilievo nella Costituzione italiana. L’articolo 21 fa più volte riferimento alla stampa, che non può essere soggetta ad autorizzazioni e censure, assegnandole un ruolo fondamentale per la tenuta democratica del Paese.
Traduzione. La stampa riveste e svolge un ruolo costituzionale che non viene riconosciuto ad altri settori economici, pur destinatari di soccorsi pubblici. Non stiamo perorando misure assistenziali, ma forse servirebbe una scala di priorità nella lista degli interventi pubblici. E quale dovrebbe essere il primo criterio guida di intervento se non il rango costituzionale di ogni settore, se non l’interesse pubblico di un’attività?
Ripetiamo. Lungi da noi l’idea di un’informazione statizzata o politicizzata (ci mancherebbe), ma non si capisce perché Alitalia faccia il pieno di soldi pubblici pur non essendo in Costituzione; non si capisce perché le Regioni, attraverso le Film Commission, di fatto finanzino più film di quelli prodotti da Carlo Ponti (1912-2007) e Dino De Laurentiis (1919-2010) insieme, trasformandosi in autentiche case cinematografiche. E potremmo continuare a oltranza. Nel frattempo la stampa quotidiana viene lasciata a se stessa, senza nemmeno un cenno di solidarietà.
Sarebbe sufficiente una normativa che non ostacolasse l’attività dei giornali, o che spianasse la strada a una configurazione giuridica d’aiuto o, semplicemente, di buon senso. Fu Aldo Moro (1916-1978), poco prima di Via Fani, a inventare la base giuridica su cui si fondò il cammino della Gazzetta sino a dicembre 1997: la proprietà alla Fondazione (Banco di Napoli), la gestione alla società Edisud. Già nell’estate scorsa, l’economista Tito Boeri, esaminando i gravi traumi economici provocati dalla pandemia, suggeriva, come misure anti-crisi, anche l’utilizzo dei fondi in cassa alle Fondazioni, che, però, statuti alla mano, devono rispettare determinati vincoli. Ma la tutela di un patrimonio storico, come quello rappresentato da giornali radicati da più di un secolo, non meriterebbe un intervento di tutela culturale in linea con gli obiettivi statutari di una Fondazione?
Fa paura la crisi di un giornale. Ma fa ancora più paura l’indifferenza delle istituzioni, che nella migliore delle ipotesi, si limitano al canonico messaggio di solidarietà che non si nega a nessuno. Altrimenti, neppure quello.
Ovviamente, la speranza è l’ultima a morire. Infatti. Speriamo solo che qualche capitano coraggioso voglia imitare quella voglia di intraprendere e di rischiare che animò, nel 1887, il pool di imprenditori al fianco di Martino Cassano, fondatore di questo giornale. Se non ora, quando?