La riflessione
Ex Ilva, quello che il premier non ha potuto esternare
Dopo aver trascorso la vigilia di Natale in fabbrica, dialogando con gli operai, ieri Conte è stato quasi costretto ad evitare la fabbrica, ricevendo – su loro richiesta – una delegazione di sindacati degli operai
TARANTO - Le parole più importanti sono quelle che non ha detto. Tutti si aspettavano da Giuseppe Conte, ieri a Taranto per 7 lunghe e dense ore con codazzo di ministri, viceministri e sottosegretari, un annuncio importante sul futuro dell'ex Ilva, l'acciaieria più grande d'Europa, ma Conte è stato dai fatti costretto a glissare. La trattativa avviata da Caio e Arcuri con Mittal è a un punto morto. La missione londinese dei due rappresentanti del Governo non ha prodotti gli esiti sperati perché l'offerta fatta dai due esponenti del Governo alla multinazionale - 400 milioni per la maggioranza della società e una transazione sui crediti nel frattempo maturati da Ilva in As sui canoni di affitto non versati – è stata accolta con beneficio di inventario dai destinatari. La famiglia Mittal ha preso tempo e considerato che mancano ormai una manciata di giorni a novembre, quando potrà lasciare fabbrica e operai da dove li ha presi l'1 novembre 2018 pagando una penale sulla quale sicuramente si genererà un contenzioso dalla durata lunga e dall'esito incerto, non è detto che una risposta arrivi.
E così, dopo aver trascorso la vigilia di Natale in fabbrica, dialogando con gli operai, ieri Conte è stato quasi costretto ad evitare la fabbrica, ricevendo – su loro richiesta – una delegazione di sindacati degli operai a cui non ha potuto far altro che apparecchiare lo stato dell'arte, rinviando a quando ci saranno notizie più certe da comunicare.
Non che senza lo scioglimento del nodo Ilva la visita a Taranto di Conte, la terza da quando è presidente del Consiglio, perda di valore perché, come dice il sottosegretario tarantino Mario Turco, <è andata meglio del previsto> vista la coesione di intenti registrata ai vari livelli istituzionali e politici.
Anzi, se c'è un luogo, una città, dove il Governo Pd-5 Stelle dimostra di funzionare, e di farlo bene, è proprio Taranto, dove un sottosegretario grillino come Turco riesce, malgrado alcuni disturbatori di fondo, a lavorare in stretta sinergia con il sindaco dem Melucci e il governatore anch'egli dem Emiliano, portando all'attenzione del Governo progetti in serie, ben fatti, lungimiranti, in grado davvero di cambiare verso alla narrazione di una città i cui destini per decenni sono stati accomunati nel bene e nel male all'acciaio. Un lavoro premiato da Conte e da mezzo Governo che ieri sono accorsi a Taranto per firmare accordi importanti, del valore di mezzo miliardo di euro.
Ma inutile girarci attorno, non basta. Ha ragione Carla Luccarelli, la mamma del povero Giorgio Di Ponzio, morto per un male incurabile il 25 gennaio del 2019, quando ieri, incontrando il premier Conte, ha sollecitato un impegno concreto a favore dei malati oncologici e lo stop alle emissioni inquinanti. Hanno ragione gli operai a sollecitare chiarezza sul loro futuro lavorativo e nelle more un salario dignitoso e non quello garantito da una cassa integrazione a zero ore che li umilia e li deprime. E ha ragione il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci quando, pur sottolineando la portata storica della giornata di ieri, torna a chiedere «un accordo di programma di lungo termine, con una forte riconversione tecnologica, senza il tabù della chiusura dell'area a caldo, con l'introduzione di una seria valutazione del danno sanitario ad orientare l'eventuale produzione, con un arretramento fisico dello stabilimento dal perimetro cittadino e dal porto, con una concreta riflessione per trovare soddisfazione all'indotto locale e sfogo agli esuberi attesi, con una ripartenza rapida dei processi di bonifica, con la parola fine ai ristori ambientali al Comune di Taranto e ai residenti dei quartieri più esposti».
Insomma, sembrano avere tutti ragione. Ma la soluzione ancora non c'è.