l'editoriale
Asse anti-crisi Italia-Germania solo così l’Europa può rinascere
Entrambi gli Stati sono obbligati, da sùbito, anche nel pieno dell’epidemia da coronavirus, a trovare un compromesso storico che rilanci l’Europa e le istituzioni liberali
Si dice Europa. Ma, non solo per il calcio (e il coronavirus), si dovrebbe leggere Italia-Germania. Si sa. Gli italiani stimano i tedeschi, ma non li amano. I tedeschi amano gli italiani, ma non li stimano. Gli italiani giudicano i tedeschi più sparagnini, sul piano finanziario, dell’Arpagone di Molière (1622-1673). I tedeschi giudicano gli italiani più irredimibili del Giocatore di Fedor Dostoevskji (1821-1881). Gli italiani vogliono che i tedeschi scuciano più quattrini per dar vita a Eurobond e bilancio comune dell’Ue.
I tedeschi lasciano intendere che non lo faranno fino a quando gli italiani non fermeranno la spesa pubblica e gli interventi assistenziali tipo reddito di cittadinanza e quota 100. Sta di fatto, però, che Italia e Germania sono condannate a trovare un punto di equilibrio, pena la deflagrazione dell’intera Europa. Prospettiva che solo qualche incosciente, o irresponsabile, potrebbe augurarsi. Sì, perché l’Europa è nata e cresciuta soprattutto per merito e volontà di Italia e Germania, le due nazioni sconfitte nella Seconda Guerra Mondiale. Gli altri Stati si sono semplicemente accodati al tandem tra Alcide De Gasperi (1881-1954) e Konrad Adenauer (1876-1967). E meno male. Altrimenti, chissà quali altri conflitti militari avrebbero insanguinato il Vecchio Continente. Ecco perché immaginare un’Europa senza l’Italia, o senza la Germania, equivarrebbe a immaginare Parigi senza la Torre Eiffel o Pechino senza la Città Proibita. Impossibile.
Del resto, che Italia e Germania siano obbligate, da sùbito, anche nel pieno dell’epidemia da coronavirus, a trovare un compromesso storico che rilanci l’Europa e le istituzioni liberali che la caratterizzano, è scritto nella storia (un nome, Federico II di Svevia, 1194-1250) oltre che nella letteratura (un nome, Johann Wolfgang von Goethe, 1749-1832). Infatti fu sempre la cultura, anticipando la politica, ad avvicinare le due nazioni.
La Seconda Guerra Mondiale non era ancora terminata che già il massimo filosofo italiano, Benedetto Croce (1866-1952), anello di congiunzione tra la cultura italiana e la cultura germanica, poneva sul tavolo il tema della riconciliazione con il nemico tedesco. Non a caso Croce aveva dedicato la sua Storia d’Europa al grande scrittore teutonico Thomas Mann (1875-1955). «La vergogna - scrisse Croce - che il popolo tedesco non potrà non provare, del male di cui si è fatto strumento, si convertirà in forza di bene come nei grandi santi che erano stati grandi peccatori».
E che dire di un altro super-europeista, il federalista Luigi Einaudi (1874-1961) che, nell’Assemblea Costituente, sottolineò come la pace in Europa non sarebbe dipesa dall’umiliazione dei vinti, che anzi l’umiliazione avrebbe provocato un’altra furibonda e incontrollabile reazione bellica, bensì da un nuovo ordine costituzionale, ossia, auspicabilmente, dagli Stati Uniti d’Europa? Se finora, ecco il ragionamento di Einaudi, la Storia si è riassunta in un almanacco di rancori e punizioni nei confronti dei vinti da parte dei vincitori, adesso bisogna voltare pagina, iniziando con la costruzione di organismi comunitari per finire con la realizzazione di un vero edificio federale.
Ora. La prima lezione «trasmessa» dall’epidemia in atto è la seguente: altro che piccole patrie, il virus impone la ripresa del percorso unitario europeo. Il che significa, innanzitutto, che Italia e Germania dovranno cercare e trovare un punto di convergenza che scongiuri, anche in teoria, ogni conato di scissione o di Italexit modello inglese. Forse il parto degli Eurobond non è pronto, ma il Fondo salva stati (Mes) potrebbe partire. Forse gli Stati tireranno un sospiro di sollievo dall’allentamento del Patto di Stabilità, cioè dei vincoli di bilancio, ma, paradossalmente, senza un colpo di accelerazione verso l’integrazione politica dell’Unione, la disciplina finanziaria nei conti pubblici dovrà, giocoforza, tornare più rigorosa di prima, pena il crollo definitivo di quella casa comunitaria che tanto stava a cuore ai Croce, ai De Gasperi e agli Einaudi.
Purtroppo, l’emergenza pandemia, per lo meno all’inizio, non ha costituito uno spot, un test confortante per l’Europa. Ogni governo è andato per conto suo, tra negazionisti e realisti. Ogni Stato, vedi soprattutto Italia e Germania, ha dovuto poi prendere atto che la politica sanitaria è spalmata a livello territoriale, mentre servirebbe una cabina di indirizzo unitaria. In ogni caso, non tocca all’Europa la supervisione degli interventi a tutela della salute, anche se un’Europa meno lacerata dagli strappi sovranisti, avrebbe (avuto) più voce in capitolo a riguardo, adoperando quella moral suasion che si riconosce alle autorità superiori.
Comunque. Se può fare poco o punto contro la pandemia, sempre l’Europa può fare molto o tutto per l’economia, che uscirà massacrata dall’assalto del coronavirus. La Bce, per fortuna, dopo le titubanze iniziali, si è incamminata sul sentiero percorso da Mario Draghi: assicurare liquidità all’intero sistema. Il che sta a significare che i falchi di Berlino e della Bundesbank sono un po’ meno falchi di come sembravano o si sono convertiti o semi-convertiti alla linea di una maggiore comprensione (ma l’Italia non pensi di spendere senza rendicontare).
Non basta. Mai come in questa circostanza drammatica, persino più grave del bollettino di una guerra tradizionale, l’Europa si trova a un bivio: o rinasce (cioè finalmente si unisce politicamente) o muore (come tanti europei uccisi dal morbo). La decisione dipenderà soprattutto dai rapporti, dalle relazioni tra Italia e Germania, le due nazioni che vollero la comunità economica, il mercato aperto, e che ora potrebbero dare l’impulso decisivo per l’unificazione politica.
Certo, i sovranismi, i nazionalismi che proliferano nei due Paesi non aiutano a spingere in questa direzione, né ci sono oggi i Croce e gli Einaudi che, in piena guerra calda tra le due popolazioni (tedesca e italiana) già guardavano al «dopo», all’integrazione futura. Ma la Storia, quasi sempre, è prodiga di sorprese. I nuovi Croce e gli Einaudi, pur senza la loro dottrina, possono rivelarsi i milioni di giovani che viaggiano in Europa come se questa già fosse una sola nazione, e che giammai accetterebbero il suo smembramento in tanti pezzi.
Italia e Germania presto saranno chiamate alla partita della vita, che risulterà assai più decisiva della leggendaria semifinale Italia-Germania 4-3 (mondiali di calcio Messico 1970). Sì, perché stavolta o vincono entrambe, o perdono entrambe.