Il punto
I cupi pensieri di quando sei in coda al supermercato
Terminata la coda fuori dalla macelleria si passa a quella davanti alla salumeria e poi anche al panificio. Sembra di essere ai «sepolcri».
I militari in strada, controlli serrati su auto e pedoni. È partita la stretta per costringere gli italiani a restare in casa. Tanta gente in giro, dicono gli esperti. Per contenere la diffusione del virus bisogna stare più isolati. Anche i medici arrivati dalla Cina hanno bocciato negozi aperti e gente a correre nei parchi: «Gli ospedali vanno bene, ma ci sono troppe persone in giro». Loro hanno in testa un regime che ha imposto il coprifuoco nella regione dello Hubei, che di abitanti fa 60 milioni, proprio come l’Italia. Noi abbiamo in testa le nostre libertà, fatte di incontri al bar, dello spritz con gli amici e di serate in pizzeria. Loro però da due giorni non hanno più nuovi contagiati, noi viaggiamo ormai su una media di 4-500 morti al giorno.
Per ora il coprifuoco non c’è, anche se di sera le città che non dormivano mai sono spettrali. E neppure bandiere e striscioni ai balconi riescono a dare un soffio di vita. Al mattino davanti a supermercati e negozi di alimentari la gente aspetta fuori, in attesa di poter entrare. L’obbligo di stare a distanza induce al silenzio, ma in realtà non c’è proprio voglia di parlare. Siamo sempre più isole in un mare di solitudine.
Terminata la coda fuori dalla macelleria si passa a quella davanti alla salumeria e poi anche al panificio. Sembra di essere ai «sepolcri». Al Sud è tradizione che il Giovedì Santo si visitino le chiese. Si «fanno i sepolcri». Un’occasione per riflettere sulla grande promessa cristiana, ma soprattutto per incontrarsi, per trovarsi quando nell’aria si sente già la primavera che fa presagire la rinascita dopo l’inverno. Al catechismo si sforzavano (invano) di spiegare che quello nelle chiese non era una sepolcro ma l’«altare della reposizione». Tutto inutile, la tradizione di «fare i sepolcri» resiste.
Le code avanzano lente davanti ai supermercati. Si sta in fila a distanza, ordinati e pazienti. Vengono alla mente le processioni dei Misteri. In silenzio, si aspetta di fare un altro passo. Molti volti sono coperti da mascherine, oggetto oggi prezioso perché introvabile. I più fortunati sfoggiano quelle professionali. Ma sono in pochi. Gli altri hanno quelle verdine, magari avute dal dentista o dal parente igienista. Poi ci sono quelli che si arrangiano con le mascherine antipolvere saccheggiate nei ferramenta. Infine c’è chi ha impegnato il tempo della reclusione domiciliare a prodursele da sé. Tutti in fila così sembriamo i moderni «perduni» di questa Quaresima infinita.
Già la Quaresima. Da piccoli ci avevano insegnato che si chiama così perché dura quaranta giorni. Ma quest’anno quanto durerà? Per quanto tempo l’astinenza dagli abbracci, dalle carezze dei padri e delle madri, dall’affetto dei figli lontani andrà avanti? La religione offre una certezza: ogni Quaresima si scioglie in una Resurrezione. Pasqua c’è sempre, neppure si rinvia, come ha detto ieri il Papa. La Scienza, religione laica dei più, non può offrire la stessa certezza. Ragiona in termini di probabilità, disegna curve, aspetta picchi, studia vaccini, ma non può dare certezze. E non può nemmeno affidarsi alla speranza, perché la speranza è sentimento fuori dalla ragione e dal metodo scientifico. Peccato, perché la speranza tiene in piedi le persone nei momenti difficili, li spinge all’attesa, li fa resistere anche di fronte a quelle immagini livide dei camion militari che portano via decine di morti. Visti dalla scienza loro in quelle bare non hanno più speranza, visti dalla fede hanno ora la Speranza più grande. Anche se atterrisce l’idea che se ne siano andati soli, senza un bacio né un saluto. Non c’è nulla di peggio di un addio che un addio negato. Erano padri, madri, nonni, mariti, mogli, figli: un rosario di affetti che si spezza e perde i suoi grani in solitudini sconfinate.
Sarà dura ripartire e non solo perché l’economia starà sotto zero. Basta rimboccarsi le maniche, lavorare sodo, metterci dentro tanta forza perché il sistema si rimetta in moto. È «dentro» invece che sarà più difficile ricominciare. Dicono che questa quaresima biologica ci avrà cambiati, che ci sarà una generazione simile a quella uscita da una guerra. Ma nessuno sa se davvero se sarà così, se saremo stati capaci di trovare un senso a quanto ci è piovuto fra capo e collo, o se l’isolamento forzato di oggi diventerà autismo di massa domani.
«Prego, tocca a lei», una voce interrompe questi cupi pensieri. È arrivato il mio turno per fare la spesa.