L'editoriale

La via cristiana che l’Europa avrebbe dovuto percorrere

Giuseppe De Tomaso

Geopolitica e geoeconomia possono marciare insieme, senza pericolosi scossoni, solo se guidate da un’idea forte, fondata sulla coesistenza pacifica

Lo riconoscono tutti, anche gli atei. Senza il Cristianesimo, il mondo non avrebbe conosciuto la democrazia e le moderne libertà. Non le avrebbe conosciute perché soprattutto il Cristianesimo, fra le religioni, esalta le diversità e non si contrappone al potere civile, predica la tolleranza e si batte per la pace. E siccome le leggi, come insegnava il politologo francese Alexis de Tocqueville (1805-1859), massimo cantore della democrazia, sono figlie delle usanze e delle abitudini popolari che, a loro volta, risentono dell’influsso religioso, se ne deduce che il nesso tra fede religiosa e sistemi politici è più stretto del rapporto tra un albero e i suoi frutti.

Chi è democratico - lo diciamo riparafrasando il concetto di Benedetto Croce (1866-1952) - non può non dirsi cristiano, perché sia il liberalismo sia la democrazia rappresentativa non sarebbero tali senza il magistero di Gesù e la relativa tradizione di riferimento.
Mai come in questa fase storica la democrazia è sotto attacco e non viene più considerata una conquista irreversibile persino nei posti in cui si era più stabilmente radicata. Mai come in questa fase storica è sotto attacco il pensiero cristiano. La stessa presenza dei cristiani nel mondo viene messa in discussione dai continui assalti alle chiese cattoliche, dalle stragi ininterrotte nei Paesi ad alto tasso di intolleranza religiosa.
Nonostante tutto, però, la forza del Vangelo rimane inalterata. Così come rimane decisivo il ruolo che svolge e può svolgere la comunità dei cristiani nei punti nevralgici del pianeta.
Il Mediterraneo potrebbe finalmente diventare un mare di pace, ma ancora oggi le guerre e i conflitti divampano in più parti. Non è facile far convivere i 25 Stati che si affacciano sul Mare Nostrum. Ma dove non possono approdare i governi, possono arrivare gli uomini di buona volontà, quelli che sulla scia della lezione di San Francesco (1182-1226) non arretrano davanti a nessuno, neppure davanti al lupo più incattivito.
Alla Chiesa cattolica va riconosciuto il merito di aver fatto l’impossibile per avvicinare popoli spesso in lotta continua tra loro. Pensiamo all’azione svolta da parecchi pontefici per fermare le violenze e le guerre in Medio Oriente; o all’opera di sostegno per rifugiati e disperati in fuga da terre in fiamme.

Non a caso, domenica prossima a Bari, in occasione del sinodo tra i vescovi di una ventina di Paesi mediterranei, ci saranno, oltre a papa Francesco, anche Sergio Mattarella, Giuseppe Conte e David Sassoli. La presenza delle massime autorità italiane rappresenta il rionoscimento più significativo nei riguardi dell’azione sociale e diplomatica svolta dal Vaticano nella zona più critica del globo. La geopolitica, ma anche la geoeconomia, si svolge soprattutto qui, nel Mediterraneo. Però geopolitica e geoeconomia possono marciare insieme, senza pericolosi scossoni, solo se guidate da un’idea forte, fondata sulla coesistenza pacifica.

L’Italia non ha molto da farsi perdonare, in materia. Anzi. Già l’Eni di Enrico Mattei (1906-1962) non conduceva solo affari petroliferi in Nord Africa, semmai insegnava a crescere e a progredire puntando sul sapere, sulla ricerca e sulla tolleranza di fede. E così Aldo Moro (1916-1978), davvero instancabile nelle sue funzioni di mediatore a oltranza tra arabi e israeliani. In fondo cos’era il Lodo Moro se non un preambolo di pace per prevenire l’accensione di incendi indomabili? E che dire dei messaggi, degli incontri di Paolo VI (1897-1978) che di Moro era, per certi versi, una specie di fratello maggiore?
Quella strategia politica studiata e avviata da Paolo sesto, Moro e Mattei, è tuttora l’unica rotta percorribile, in grado di rendere più navigabile (pacificamente parlando) il Mediterraneo di cui sopra.
Papa Francesco è il prosecutore diretto di una linea di confronto e di ascolto che da decenni vede impegnata in prima fila la Chiesa, ma anche l’Italia con le sue stesse propaggini aziendali.

Bari, poi, la città di San Nicola, il Santo planetario per eccellenza, costituisce la sede ideale per riprendere a sbrogliare la matassa del Mediterraneo che, ricordava Moro, non può prescindere dall’Europa, visto che sul mare in questione, si affacciano parecchi Stati del Vecchio Continente.
Servirebbero autorità, organismi sovranazionali, in grado di portare l’Europa, politicamente ancora disunita, su posizioni unitarie e condivise. Questo ruolo potrebbe svolgerlo la Chiesa con un mandato diplomatico più corposo, se non fosse che l’Europa è sempre più scristianizzata, tanto da escludere dalla propria «costituzione» ogni riferimento alle radici giudaico-cristiane; e se non fosse che gli Stati europei si sono fatti irretire da serpenti nazionalistici poco propensi a una visione irenica delle relazioni tra i popoli.
La Chiesa, in ogni caso, potrebbe svolgere un ruolo di supplenza in tal senso. E meno male. Il mondo sta ricominciando ad aver paura per la propria sicurezza. E se non è sicuro il Mediterraneo, figuriamoci tutto il resto.

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