Il punto

La giostra dei movimenti in un Paese immobile

Giuseppe De Tomaso

«Le sardine sono il fenomeno del momento. Sono premiate dai sondaggi. I loro esponenti sono di casa in tv. Per adesso, la loro identità politica è tutta da scrivere»

Le sardine sono il fenomeno del momento. Sono premiate dai sondaggi. I loro esponenti sono di casa in tv. Per adesso, la loro identità politica è tutta da scrivere, anche se il punto di partenza è la difesa della Costituzione. Ok. Ma la Costituzione non è una Bibbia osannata da tutti, visto che anche i suoi tifosi più accaniti non ne esaltano tutti gli articoli, vedi, ad esempio, quello che raccomanda l’equilibrio del bilancio, la compatibilità delle spese economiche. Sotto questo aspetto la Costituzione italiana è persino più rigida del Trattato di Maastricht e del Fiscal Compact europeo, i cui testi consentono più flessibilità della Carta fondativa della Repubblica Italiana.

Contrariamente all’opinione più radicata, i Trattati europei non sono frutto di menti spietate, sadiche e perverse. Basti pensare che se il Pil del Belpaese crescesse del 3% annuo, non ci sarebbe più bisogno di manovre succhia soldi a fine anno e il debito pubblico comincerebbe a scendere dal 135% per raggiungere in 20-30 anni la soglia canonica del 60%. Non ci sembra, l’obiettivo del 3% di crescita annua del Pil, un traguardo proibitivo, anche perché più volte, nel corso della storia, l’Italia ha saputo fare di meglio.

Eppure l’Europa viene ritenuta più cattiva di una matrigna e più velenosa di una vipera. Ma quale giudizio daremmo noi di una famiglia che dilapidasse tutti i suoi averi per mantenere un treno di vita da nababbi in vacanza? E quale credito le affideremmo se sapessimo che i nostri soldi verrebbero sperperati in iniziative dispendiose? Ecco il punto. L’Europa, o meglio la costituzione materiale europea, vorrebbe che che tutte le nazioni dell’Unione si contenessero alquanto nella libidine sprecaiòla. Nulla di più.
Invece, l’Italia non solo non vuole accettare moniti ed esortazioni nel segno del risparmio, ma pretende di avere sempre ragione, quasi che disponga di una sorta di lasciapassare, di diritto divino ad ignorare le direttive e le pratiche di buon governo.

Lo Stivale, non tutto in verità, non si vuole rassegnare all’idea che se c’è un Paese cui convenga il Fondo salva-Stati, ossia il Mes (meccanismo europeo di stabilità) il suo nome è Italia. È l’Italia a zoppicare più delle altre nazioni continentali. Mettersi di traverso al Mes significa tradire i princìpi basilari (no alla monetizzazione del debito, sì alla stabilizzazione dei prezzi) dell’Unione Europea e della derivante Banca centrale europea (Bce). E tradire questi due princìpi significa sognare, sotto sotto, il ritorno alla spensieratezza finanziaria e, di infrazione in infrazione, vuol dire vagheggiare il ripescaggio delle monete nazionali, ossia l’affondamento della moneta comune (euro).
Insistiamo. Se c’è un popolo verso cui il Mes potrebbe davvero porsi come salvagente a prova di foratura, questo è il popolo italiano. Ma, da questo lato sono in tanti a non voler sentire, a tapparsi l’orecchio, quasi che il futuro sereno di una persona e di uno Stato possa fare a meno della disciplina economica.

Le sardine, su questo versante, dicono (ancora) poco o nulla. Così come dicono poco o nulla sull’altro fenomeno che impedisce all’Italia di crescere: il dispotismo amministrativo. Tutti, giustamente, erigono barriere contro il più piccolo conato di dispotismo politico, ma nessuno presta attenzione allo strapotere amministrativo che comprime, a caro prezzo, la nostra vita quotidiana. Anzi, lo strapotere amministrativo, come già paventava il politologo francese Alexis de Tocqueville (1805-1859), per molti sembra quasi una benedizione, non rendendosi conto, gli osannatori di cotanta invadenza , che la libertà può arretrare a piccoli passi, anche a causa di certe prescrizioni etiche o di alcune procedure esasperanti o di alcuni controversi precetti comportamentali.

Ecco. Una forza nuova che si affaccia sul proscenio, più che sui rischi, tutti da verificare, di un dispotismo politico di ritorno, dovrebbe soffermarsi sui pericoli, già in essere, di un dispotismo amministrativo mai domo e mai sazio. È il dispotismo amministrativo che si nutre di tasse morali, che eccita la voracità delle burocrazie, che contribuisce ad alimentare l’abbondanza della rappresentanza, visto che non si contano i livelli elettivi, dalle circoscrizioni municipali fino al parlamento europeo, in cui si devono districare i votanti della Penisola.
Servirebbe una profonda presa di coscienza sui rischi reali dell’involuzione italica. Invece, sovente, ci si mobilita e si scende in piazza per le cause più regressive (no alle grandi opere, no alla scienza, no ai vaccini, no alle infrastrutture stradali) sottovalutando gli effetti dell’esuberanza amministrativa, spesso favorita - va detto - dalla sudditanza (compiacente) degli amministrati.

Ma la libertà bisogna desiderarla per apprezzarla. Spesso è più comodo obbedire, perché cercare più libertà significa accettare più responsabilità. E la responsabilità richiede fatica, sofferenza. Meglio evitare oneri, fastidi così pesanti.
Tutti i nuovi movimenti politici e parapolitici affermatisi in questi anni sulla ribalta nazionale si sono sostituiti ai precedenti (in discesa) senza introdurre elementi di rottura e di modernità (rispetto al prius.) Aspettiamo, adesso, di vedere l’evoluzione delle sardine. Se il loro scopo sarà solo quello di sostituire chi c’è già (al potere), buona notte. Sarebbe l’ennesimo film già visto.

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