L'analisi
Ma l'eccessivo euro-castigo «sovranizza» il belpaese
Da molti anni veniamo messi in castigo per la nostra politica economica giudicata poco virtuosa
“Sento che in questo consesso tutto, al di là della vostra personale cortesia, è contro di me”. Chissà se all’incontro dei capi di Stato e di governo europei di Bruxelles il nostro presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è sentito come il suo lontano predecessore Alcide De Gasperi il 10 agosto 1946 alla Conferenza di pace di Parigi. De Gasperi e l’Italia erano completamente isolati. Soltanto il segretario di Stato americano James Byrnes si alzò per stringere la mano al primo ministro italiano : sarebbe stato un personaggio decisivo per il nostro reinserimento nel virtuoso circuito internazionale. Ci sarà un Byrnes per Conte?
Oggi l’Italia è isolata per due ragioni. La prima e più importante è che né la Lega né il Movimento 5 Stelle appartengono alle tre grandi famiglie politiche europee (popolari, socialisti, liberali) alle quali si sono aggiunti i Verdi. E poiché la trattativa per le cariche più importanti si fa all’interno di quelle famiglie, noi ne siamo fuori. La seconda ragione è che noi da molti anni veniamo messi in castigo per la nostra politica economica giudicata poco virtuosa. Dal 1993 nessun governo italiano è stato apprezzato dall’Europa su questo tema, tranne il governo Monti che pure resistette all’invio della Trojka (Commissione europea, Banca Centrale, Fondo Monetario) che ci avrebbe commissariato.
Ma l’austerità imposta a Monti non ha funzionato: peggiorarono i conti, aumentò la disoccupazione. La cura era sbagliata, il paziente smagrì e sarebbe un errore ripeterla.
L’Italia da tempo non è un modello di virtù, ma quando si giudica una persona o un paese non si può prescindere dalla sua storia. Nel dopoguerra la crescita economica, sociale e civile dell’Italia conquistò il mondo. Il sogno di De Gasperi, Adenauer e Schumann era politico, non contabile. Nel mondo diviso in blocchi, l’Europa rivendicava la sua piena dignità storica e politica. A firmare la nascita della Comunità economica europea nel 1957 eravamo soltanto in sei. Oggi siamo 28 e si parla di ulteriori allargamenti. Il sogno politico è svanito da tempo e si parla soltanto di soldi. Dal dopoguerra all’inizio degli anni Novanta siamo cresciuti più di tutti: l’Oscar della Lira del ’59 premiò il portentoso miracolo economico italiano. E’ vero: dal ‘compromesso storico’ Dc-Pci del 1976-79 abbiamo cominciato a spendere troppo.
Eppure è scorretto dimenticare che dal 1997 l’Italia ha sforato soltanto tre volte il famoso 3 per cento del rapporto deficit/pil (media -3.3) contro le nove volte della Francia (media -4.8). Nel 2003 insieme con la Francia sforò anche la Germania, ma il governo Berlusconi chiese di chiudere un occhio e la Commissione lo fece. Si dice, a ragione, che il nostro debito pubblico è il più alto di tutti. Ma abbiamo sempre pagato gli interessi e la nostra reputazione forse non è così cattiva se in ogni asta del debito pubblico la richiesta di titoli italiani è sempre nettamente superiore all’offerta. Conte anche ieri si è detto sicuro di evitare la procedura d’infrazione, ma per dire come funzionano le cose quando interessano gli altri, sapete quando si è chiusa una procedura avviata contro la Francia nel 2009? Nel maggio 2018. E nessuno pensa di aprirla contro la Germania che sfora ininterrottamente dal 2012 i limiti del surplus commerciale danneggiando tutte le economie comunitarie. Noi dobbiamo stare attenti ai conti perché 100 punti di spread di troppo costano ogni anno quasi 5 miliardi di interessi: il triplo del budget necessario a dare gratis asili nido a tutti. Quindi piedi per terra con le promesse. Ma finché due dei paesi più occhiuti nei nostri confronti come l’Olanda e il Lussemburgo sono strepitosi paradisi fiscali, sarà ben difficili far capire alla gente che l’Europa è una cosa meravigliosa.