L'analisi
Il fantasma della legge di bilancio tra i vicepremier
Allo stato, Siri è all’inizio del percorso. Farlo dimettere adesso costituisce un pericoloso precedente.
Per Giuseppe Conte il lungo fine settimana di lavoro da trascorrere in Cina è la vacanza più desiderabile. Potesse prolungarla, anche a spese sue, lo farebbe senza pensarci un istante. Al ritorno lo aspetta l’incrocio di sguardi con il sottosegretario leghista Alessandro Siri. “Lo guarderò negli occhi e deciderò”. Revocarlo, come chiedono i 5 Stelle o lasciarlo al suo posto in attesa che i magistrati facciano chiarezza, come chiede la Lega? Tra un avviso di garanzia e una sentenza di Cassazione ci sono sei passaggi: la chiusura delle indagini, la richiesta di rinvio a giudizio, il rinvio a giudizio, il processo di primo grado, l’appello e infine l’eventuale condanna definitiva.
Piaccia o no, la Costituzione stabilisce che soltanto allora una persona può essere definita colpevole, anche se un sottosegretario condannato in primo grado non ha più la credibilità per continuare il suo lavoro. Allo stato, Siri è all’inizio del percorso. Farlo dimettere adesso costituisce un pericoloso precedente. Nel solo filone milanese di ‘Mani Pulite’ furono emessi 4520 avvisi di garanzia. I rinvii a giudizio furono 3200, i processi conclusi con una condanna o un patteggiamento 1281. Nel 1993 87 deputati democristiani ricevettero l’avviso di garanzia. Dieci anni dopo 47 erano stati assolti o archiviati, sei condannati, una decina deceduti, gli altri ancora sotto processo senza aver avuto ancora alcuna condanna.
Si dice – giustamente – che qui c’è di mezzo la mafia. Se fosse provato, con intercettazioni o altro, che Siri era a conoscenza dei rapporti di Vincenzo Arata – suo interlocutore privilegiato nel campo dell’energia eolica – con Vito Nicastri e di quest’ultimo con Matteo Messina Denaro, non c’è dubbio che dovrebbe andar via subito. Ma se fosse all’oscuro di tutto questo?
Comunque vadano le cose, è improbabile che dal caso Siri venga una crisi di governo. E che si apra prima del 26 maggio qualunque nefandezza si scarichino addosso Di Maio e Salvini, un tempo amanti politici come mai s’era visto. Il Capitano ancora ieri ha ripetuto che il governo ci sarà a maggio, a Ferragosto e a Natale. Sembra una battuta perché nessuna comunità può reggere se i toni restano questi. Ma il problema può essere altrove. Come nel ‘Don Giovanni’ di Mozart e nel ‘Macbeth’ di Shakespeare, anche qui c’è un fantasma che turba i sogni dei protagonisti: la legge di bilancio per il 2020. Gli esperti di astrologia parlamentare hanno individuato in domenica 22 settembre la data ultima per votare consentendo alle nuove Camere di discuterla. Questo vorrebbe dire sciogliere le Camere attuali entro luglio. Tempi strettissimi: rissa immediata dopo le elezioni europee, tentativi vani del presidente della Repubblica di trovare una soluzione, tutti a casa.
Non facile, a meno che i colpi di tosse dell’elettorato leghista del Nord non diventino tuoni e impongano una accelerazione. Il problema vero è se Salvini vuole affrontare lo scoglio della Finanziaria insieme con Di Maio o contro Di Maio. Affrontarla con i 5 Stelle all’opposizione dopo una convivenza di governo presentata come la migliore possibile non sarebbe facile. Ma non lo è nemmeno doppiare il Capodanno con un deficit fuori controllo, un elettorato che rumoreggia e i Mercati che si divertono a speculare sullo spread. E allora?