La riflessione
Negozi chiusi nei festivi l’impossibile salto nel tempo
Con le «liberalizzazioni» il dio mercato ha portato pure l’apertura libera, cioè sempre, di negozi e centri commerciali.
C’erano una volta le domeniche fatte di vestito buono, messa con la famiglia, struscio in piazza e pranzo dalla mamma. Nelle stradine il profumo sublime del ragù raccontava il menù unico. Erano le domeniche in cui si stava con l’orecchio incollato alle radioline per sapere dei risultati delle partite di calcio. Erano le domeniche dei negozi chiusi. Però non tutti: erano aperti bar e pasticcerie, edicole e tabaccai, fioristi e - chissà perché - sale da barba, oltre le pescherie.
Poi il mondo è cambiato. In fretta, troppo in fretta. L’abito buono non c’è più, ma ci sono i jeans stracciati che costano il doppio, le partite si seguono per tutta la settimana facendo lo slalom fra Sky e Dazn e per il ragù bisogna chiamare uno chef stellato.
E con le «liberalizzazioni» il dio mercato ha portato pure l’apertura libera, cioè sempre, di negozi e centri commerciali. Ma nell’ultima campagna elettorale è stato posto il problema di tornare alle chiusure di domenica e nei festivi. L’altro giorno, in Commissione alla Camera, sono state raccolte cinque diverse proposte di legge. Perché abbassare di nuovo le saracinesche nei festivi? La motivazione appare un po’ discriminatoria: per ridare serenità alle famiglie dei dipendenti degli esercizi commerciali. Argomento nobile, ma i figli di carabinieri, poliziotti, finanzieri, giornalisti, vigili urbani, medici, infermieri, vigili del fuoco, camerieri, baristi, cuochi, autisti, pasticcieri, ferrovieri, aeroportuali non hanno gli stessi diritti?
Allora non si capisce questa battaglia che sa un po’ di retroguardia, nel momento in cui la vita di ciascuno è ormai h24. In molte città del Nord si sperimenta quel che all’estero non fa più notizia: negozi aperti fino a mezzanotte e supermercati per tutta la notte. Perché? Per vendere di più, si dirà. Certo, ma anche per andare incontro alle mutate esigenze degli acquirenti. È un caso che proprio di domenica i negozi siano superaffollati? I centri commerciali nei festivi diventano la nuova «casa» degli italiani. Le famiglie arrivano al mattino, fanno colazione al bar, poi lo shopping in galleria, il pranzo a uno dei tanti ristoranti, il pomeriggio all’annessa sala cinema con i pargoli che si divertono al parco giochi. E per chi lo volesse ci sono anche il dentista, l’estetista, il parrucchiere e la sala fitness. Sarà un modello capitalistico, consumistico, neoborghese o come si vuole definirlo, ma è il modello dominante.
Nel maggio del 2005 si tenne a Bari un Congresso eucaristico dal tema inequivocabile: «Senza la domenica non possiamo vivere». Una riflessione a tutto tondo sul valore spirituale e sociale della domenica come giorno del Signore. Fino ad allora la Chiesa aveva fieramente avversato l’apertura festiva di negozi e centri commerciali sostenendo che svuotavano di senso il riposo settimanale, toglievano tempo allo stare insieme delle famiglie, rendevano l’uomo sempre più strumento del consumismo. Tutte critiche che ora, con sfumature diverse, vengono fatte proprie da leghisti, grillini e soci. La Chiesa ha invece ammorbidito i toni rendendosi conto che non sono le vetrine luccicanti a fiaccare la fede dei fedeli.
Bisogna fare i conti anche con un altro fenomeno: il commercio online, già in forte espansione. Le ipotizzate chiusure domenicali non faranno altro che spingere nuove masse di «clienti» verso gli acquisti via web, con l’inevitabile crisi degli esercizi tradizionali, soprattutto della grande distribuzione. La perdita di posti di lavoro sarà inevitabile e irreversibile. E potrebbe far cadere l’ultimo argine al dilagare del commercio digitale: il fermo dei trasportatori nei fine settimana. Se i corrieri romperanno questo tabù, il destino di negozi, supermercati e centri commerciali sarà segnato.
In realtà si potrebbero cercare soluzioni diverse senza scombinare la vita di milioni di famiglie: perché non far sì che per tutte le categorie il lavoro nei giorni festivi sia retribuito in maniera «compensativa», cioè vi sia una retribuzione maggiorata tale da costituire una forma di giusto indennizzo per tutti i disagi che comporta? In alcuni contratti questo è già da tempo previsto. Ma fare un’operazione del genere è più impegnativo che predicare un impossibile salto nel passato.