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Anche noi come «Loro»? Ecco Berlusconi visto da Sorrentino

 
OSCAR IARUSSI

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OSCAR IARUSSI

Loro, Belusconi Lario

LORO 1 di Paolo Sorrentino. Interpreti principali: Toni Servillo (Silvio Berlusconi), Elena Sofia Ricci (Veronica Lario), Riccardo Scamarcio, Fabrizio Bentivoglio, Euridice Axen, Kasia Smutniak, Ricky Memphis. Biografico-commedia, Italia, 2018. Durata: 104 minuti

Sabato 28 Aprile 2018, 14:50

Loro, lui, noi. È da poco in sala la prima parte del film di Paolo Sorrentino, Loro 1, dedicato alla figura di Silvio Berlusconi e, invero, all’Italia recente iscritta nella cornice di un berlusconismo antropologico più che politico. Un protagonista della vita pubblica negli ultimi decenni che, come ha ricordato nei giorni scorsi sua figlia Marina Berlusconi, è destinato a entrare nei libri di storia (di fatto v’è da qualche anno, nel bene e nel male). Già nel 2006 Nanni Moretti offrì un ritratto fosco e grottesco del Cavaliere in Il caimano, interpretato dallo stesso Moretti (nel cast aveva un ruolo anche Sorrentino).

In Loro - la seconda parte sarà sugli schermi il 10 maggio - il regista premio Oscar per La grande bellezza (2013) mette in scena vicende «verosimili o inventate avvenute in Italia tra il 2006 e il 2010», come sostiene il cartello iniziale, forse a mo’ di tutela legale. «Tutto documentato. Tutto arbitrario», recita l’epigrafe al film, una frase dello scrittore Giorgio Manganelli. D’altronde, come sosteneva Fellini che resta il modello o l’archetipo di Sorrentino, a un artista non va chiesto di essere fedele alla cronaca, bensì di restituire l’autenticità di un mondo attraverso la finzione, la metafora, la simbologia.

Loro 1 è difficile da giudicare senza aver visto Loro 2, perché si tratta della metà di un film «spezzato» per motivi di lunghezza e non della parte «autonoma» di un dittico, come invece accadde per Novecento di Bernardo Bertolucci. Il racconto è ambientato tra la Roma dei Fori Imperiali e la Sardegna di Villa Certosa dove una pecorella incautamente entrata nella sontuosa dimora rimane stecchita a causa dell’aria condizionata, mentre la Tv trasmette immagini di un quiz con Ugo Pagliai. Il grande freddo nel buen retiro di Berlusconi, il cui terzo governo nel 2006 è appena caduto.

Ma l’azione prende le mosse dalla Puglia, in particolare dal mare di Taranto. Qui il giovane e spregiudicato imprenditore / mediatore di affari Sergio Morra interpretato da Riccardo Scamarcio (sempre più bravo), nel quale molti ritengono di riconoscere il barese Gianpaolo Tarantini, dà il via alla sua irresistibile ascesa che si compirà, prima della disastrosa caduta (nella realtà), a forza di cocaina e splendide ragazze disposte a tutto pur di sfondare.

Morra, quando è ancora a Taranto, rimane folgorato dal tatuaggio di Berlusconi sul fondo schiena di un’acrobata mentre fa l’amore con lei e confiderà alla moglie Tamara (Euridice Axen) che vuole assolutamente arrivare a Lui! E a Roma farà in modo di avvicinarsi al suo mito anche grazie all’amicizia con un’enigmatica e magnifica Kasia Smutniak con tanto di proverbiale gioiello a foggia di «farfallina» (personaggio ispirato alla cosiddetta «ape regina» Sabina Began).

In Sardegna il giovane imprenditore affitta una villa di fronte a quella di Berlusconi, che finalmente dopo un’ora di film appare travestito da odalisca, nel tentativo di far sorridere la moglie Veronica Lario. Lui è Toni Servillo, che nel 2008 fu Giulio Andreotti in Il divo. Lei è Elena Sofia Ricci, regina imprigionata e dolente che porta il lutto del matrimonio fallito con il «drago malato e divoratore di vergini», come Lario avrebbe definito Berlusconi nel 2011. E non manca l’icona di una bellissima fanciulla (Alice Pagani) che nelle more viene condotta al cospetto di un ineffabile e misterioso «Dio».

Ma qui la patologia è contagiosa, virale, giacché decine e decine di ragazze vogliono essere ammesse a corte e diventare partecipi del «bunga bunga» nazionale, cui, sia pure da spettatori morbosi di certi show televisivi, pochi italiani possono dirsi del tutto estranei. La cifra di Loro 1 è insomma la medesima di La grande bellezza: una satira caustica e tuttavia indulgente del carattere nazionale. Il Berlusconi di Sorrentino e Servillo, nonostante il rischio della macchietta sia in agguato, non è caricaturale e appare piuttosto alla stregua di un phármakon: è il veleno e l’antidoto, il male e l’esorcismo, lungo un ventennio italiano sotto il segno della «nostalgia». Di scena c’è un Paese annoiato e in declino, la cui senilità simbolica balena pure nel ministro-poeta interpretato da Fabrizio Bentivoglio. Un Paese che ha ancora voglia di una malintesa «Dolce Vita», come disse Berlusconi colto in castagna parlando delle sue «cene eleganti» con giovani donne (pagando, s’intende).

Sorrentino miscela il tutto alla sua maniera, non lesina sequenze o immagini che ambiscono all’agnizione, spesso affidata agli animali: la pecora, il ratto gigantesco che ai Fori causa l’incidente del camion della nettezza urbana, un serpente con l’Eva di turno, il rinoceronte impazzito nella strade della capitale (semi-citazione felliniana da E la nave va, mentre Scamarcio sul cammello fa pensare a Lo sceicco bianco).

Il tutto risulta infine vitalistico lisergico accelerato erotico con echi di Martin Scorsese (The Wolf of Wall Street) o di Harmony Korine nello sballo collettivo a bordo piscina che ricorda Spring Breakers. Eppure la dimensione prevalente è malinconica, talora patetica («Ho settant’anni, sono ancora giovane»), e, appunto, nostalgica come Una domenica bestiale, la canzone che suggellò l’amore tra Silvio e Veronica, eseguita da Fabio Concato. Una «domenica bestiale» durata parecchio, visto che Berlusconi è tuttora uno dei leader politici della presunta Terza Repubblica. Una festa immobile non del tutto svanita e dall’incerto lunedì.

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