Vien facile pensare che si tratti di un esito scontato. Vince il numero 1 del mondo, l’«alieno» Djokovic. Però questa finale lascia un retrogusto amarissimo. Nessun dubbio sulla legittimità del successo serbo, nettissimo. Resta, semmai, la sensazione di una partita che Sinner non ha giocato. Una trentina di errori gratuiti spiegano affanni imprevisti e ingestibili.
Ora tutti si scateneranno a celebrare la grandezza di Novak, che non sarebbe stata in discussione nemmeno in caso di sconfitta. Ci sono tantissimi suoi meriti in questa serata torinese. Dalla forza mentale a quell’elasticità che gli consente di fare ancora il padrone tra ragazzini forti e irriverenti. E poi quel suo tennis chirurgico. La capacità di muovere la palla con una semplicità disarmante. Le «uscite» col rovescio lungolinea capaci di squartare un Sinner molle e confuso. Campionario devastante, nulla che già non si sapesse. Chapeau, insomma. Senza se e senza ma.
Però Jannik, questa partita, non l’ha giocata. Sin dai primissimi game s’è capito che il linguaggio del corpo non era quello delle giornate felici. Stanco, forse. Scarico, sicuramente. Tanti errori banali, un «motore» con tanti cavalli in meno. Jannik sembrava un «coniglio bagnato». Lontano parente di quel ragazzo arrembante e furioso che ha fatto sognare milioni di italiani.
Con qualsiasi avversario Sinner sarebbe riuscito a inventarsi qualcosa. Perché la voglia di lottare l’ha mostrata anche stavolta. Ma con «Nole», no. Folle affrontarlo con le gomme sgonfie. Lui ti salta al collo e non ti molla fino a quando non ti ha «finito». La forza dei campioni, si dirà. Non perdonano nelle giornate complicate, figurarsi in una notte vissuta col fuoco negli occhi.
Jannik, però, ha vinto lo stesso. Tutto tranne che una frase fatta. Ha vinto perché ci ha fatto impazzire con i suoi colpi e perché ha stregato un intero paese. L’Italia s’è fermata per goderselo, ipnotizzata. Sono tornati i tempi dello sci e di Tomba. Tutti insieme a tifare Italia. A qualsiasi ora, di giorno e di notte. Per strada e sul divano. Perché son quelle cose che capisci al volo ti ricapiteranno, forse, in un’altra vita.
Ora, però, Jannik chiuda definitivamente una ferita che non si è ancora chiusa del tutto, il rapporto con la Davis. Pensi all’affetto, straordinario di questi giorni e ricordi che tutti quegli appassionati hanno l’azzurro tatuato sul petto. La vita di un potenziale campione è complicatissima, vero. Calendari folli, programmazioni scivolose. Però, in un mondo dello sport sempre più dominato dal busines, proviamo a non profanare il fascino della nazionale. La carriera prima di tutto, certo. Però.... ci siamo capiti, Jannik. E buon viaggio verso il tetto del mondo. Ormai è sicuro, puoi arrivare fin lassù. E solo l’idea ha il profumo del trionfo.