Il personaggio

Da Bari il sound di Sgamo, vero cittadino del mondo

Bianca Chiriatti

Una storia di passione che l’ha portato fino in Usa, Vietnam, Malaysia

Crescere a Bari, quartiere Japigia, lasciarsi affascinare da una curiosità che da musicale diventa culturale, spostarsi a Milano per approfondirla, dando vita a una carriera da dj anticonvenzionale e unica, per poi diventare cittadino del mondo e finire a suonare in tutti i cinque continenti. In poche righe è così riassunto il curriculum di Alessandro «Sgamo» Nuzzo, uno dei nomi più interessanti del panorama musicale che non si rinchiude negli stereotipi del mainstream, ma va oltre, unendo generi e culture. Dopo aver lavorato al fianco dei big della scena italiana e non solo, e aver rifiutato proposte da parte delle principali major del nostro paese, Sgamo ha fondato wegoing.sound, che unisce i brand, i club, gli artisti emergenti creando sinergie professionali e umane, e forse è proprio questo ad aver fatto la differenza nella sua storia. Storia che ha raccontato alla Gazzetta, intercettato dopo un fortunato live a New York, ospite del collettivo Mundo, per poi proseguire in Brasile e Argentina.

Facciamo un passo indietro, come ha scoperto questa passione per la musica?

«Tutto nasce dall’hip-hop, sono rimasto folgorato dopo che un amico è tornato da un’esperienza negli Stati Uniti. Mi colpii tutto: le copertine degli album, i vestiti diversi, poi ho cominciato a rendermi conto che dappertutto c’era un profondo contenuto black, e ho continuato a esplorare. Questa curiosità musicale è diventata culturale: ciò che avrei dovuto studiare a scuola, me lo ha insegnato la musica. Pian piano ho affinato la tecnica, e ho cominciato a muovermi. Oggi non ho un management, faccio tutto da solo. È faticoso, ma quando guadagni il rispetto e la stima da parte dei colleghi che tu stesso ammiravi, è un enorme traguardo».

Gira tutto il mondo, ormai: a New York com’è andata?

«Ho suonato nel Bronx, ospite di questo collettivo, Mundo, di cui ho scaricato la musica per anni (ride, ndr.). Nei loro remix uniscono le origini dominicane e portoricane, prendono pezzi già esistenti e ci cuciono addosso i ritmi della loro tradizione. Sono passato dalla pratica nella mia cameretta, tanto che mi piace definire il mio modo di suonare un po’ nerd, ad essere capito, accettato e benvoluto. Oggi suono nei posti dove si tenevano i live che guardavo su YouTube».

Com’è il pubblico oltreoceano?

«L’autenticità la fa da padrona. Parliamo di sottoculture di musica dance che hanno origini troppo radicate nella black music, lì il pubblico è ben consapevole di ciò che si suona. Poi c’è curiosità, i club sono pieni, l’Argentina sembra quasi il sud Italia per calore e affetto».

Presto sarà invece dall’altra parte, Malaysia e Vietnam. Lì com’è il panorama?

«Sono posti che stanno vivendo un boom economico, con un’immigrazione al contrario: per anni sono stati colonizzati dall’Europa, oggi tornano per costruire locali, c’è tanto meltin’ pot, gli assessori allo spettacolo non hanno neanche quarant’anni. È molto stimolante».

Veniamo al punto di svolta della sua storia: prima lascia la Puglia, poi Milano, il centro della musica, almeno in Italia...

«Ho avuto la fortuna di stare a contatto con i grandi della scena italiana, Guè, Marracash, Sfera Ebbasta... Il percorso era lineare, poi ho cominciato a intravedere una deriva, non ho messo tutta questa passione per finire a suonare per ragazzini che vogliono cantare le hit alla moda. Sono andato in Uganda, ho fatto un cleaning mentale, i miei idoli internazionali ormai li invitavo e mi raggiungevano, e allora ho iniziato un percorso di rebranding, ho ricominciato daccapo, con un tutto un know-how addosso. Dopo aver girato tanti sud del mondo ho capito di appartenere anche io al sud: Milano l’ho lasciata il 1 luglio di quest’anno, è troppo pericolosa, costosa, non è più cool come un tempo. Sono grato per le opportunità che ho ricevuto e che mi sono costruito, ma ci sono porte che non mi sono mai state aperte, giochi già scritti, e non vale la pena sprecare la mia salute mentale per questo. Per ora ho preso in affitto una casa in Vietnam, da lì mi sposterò, vorrei organizzare attività, workshop, in fondo con l’agenzia che ho fondato le linee di marketing creativo si possono creare da qualsiasi posto nel mondo».

Un pianeta che ha girato in lungo e in largo, le manca qualcosa?

«Il Sudafrica, quella musica è entrata nel nostro panorama, l’afropop quest’estate ha superato il reggaeton. Vorrei andare a scoprire il perché di questa influenza così forte».

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