Il ritratto

Piazzolla, quelle radici a Trani del rivoluzionario del tango

Ugo Sbisà

Il compositore dalle origini pugliesi nasceva cento anni fa

Quando quel mestiere che lo aveva fatto viaggiare in mezzo mondo, verso la fine degli Anni ’80 lo condusse in Puglia e in particolare a Trani, volle vedere a tutti i costi la casa nella quale era nato e aveva vissuto suo nonno Pantaleone, prima di lasciare la propria terra natale per andare a cercare fortuna in Sudamerica. E c’è ancora chi ricorda bene con quanta commozione, dopo aver visitato quelle povere mura, Astor Piazzolla (1921 - 1992) si esibì nella terra dei propri avi, dove evidentemente, dopo aver «dormito» per decenni, il suo Dna pugliese era improvvisamente uscito dal proprio letargo, riattivando emozioni inattese, sostenute dal desiderio di conoscere una parte delle proprie radici (la madre, anch’ella oriunda italiana, era invece originaria della Garfagnana).


Discendeva da emigranti Astor Piazzolla e, sebbene fosse nato - esattamente cento anni fa, l’11 marzo del 1921 - in Argentina, a Mar del Plata, aveva trascorso gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza a New York, dove i genitori, trasferitisi nel 1924, rimasero fino al 1937. E non si tratta di un dettaglio biografico di poco conto, se si considera che quella in cui il piccolo Astor crebbe e si formò musicalmente era una città musicalmente vivacissima, ormai diventata a pieno titolo la patria del jazz e dominata da giganti della musica afroamericana, per tutti Duke Ellington. Al contempo, però, la scena «classica» non era da meno e non è un caso se Astor venne affidato alle cure di un maestro di bandoneon che poteva vantarsi di essere stato studente nientemeno che del grande Serghei Rachmaninov.
Jazz e classica, allora, insieme alle immancabili melodie del tango argentino che i genitori ascoltavano e sentivano come «proprie». E lo stesso dovette accadere sicuramente con Astor, che mai e poi mai avrebbe potuto immaginare, negli anni a venire, di vedersi appioppare la definizione di asesino del tango, l’assassino del tango, per averne «corrotto» il linguaggio allontanandolo dal tango cancion così caro ai puristi. Non a caso, quando era poco più che tredicenne, il suo talento aveva affascinato il leggendario cantante argentino Carlos Gardel e successivamente, una volta rientrato a Buenos Aires, era stato scritturato nell’orchestra di Anibal Troilo, il depositario della tradizione del tango, da più parti considerato il più grande di tutti. Piazzolla aveva un doppio compito nelle file dell’orchestra: suonare il bandoneon, ma anche firmare gli arrangiamenti ed è proprio in questa sua seconda veste che cominciò a sperimentare nuove modalità espressive, forte degli insegnamenti appresi a New York, ma anche degli studi che, contemporaneamente, svolgeva sotto la guida di Alberto Ginastera, il più celebre compositore argentino di quell’epoca.


«Ho sempre pensato al tango come una musica scritta per le orecchie, più che per i piedi», avrebbe affermato Piazzolla che a causa di un lieve problema di deambulazione era impedito nel ballo e, di conseguenza, preferiva concentrarsi sull’aspetto squisitamente compositivo. In un’altra occasione, ricordando gli anni trascorsi al fianco di Troilo – che poi lo ripudiò come traditore del «vero» tango – si trovò ad affermare: «A me non è mai importato niente dei ballerini; l’importante era vedere che faccia facevano i musicisti di Troilo quando suonavano i miei arragiamenti. Se facevano facce strane era brutto segno; se invece erano soddisfatti, io ero felice».


A quel punto, dal 1946 in avanti, fu inevitabile mettere in piedi una propria orchestra per riuscire a eseguire la propria musica senza dover incorrere negli strali del vecchio caporchestra, anche se questo non lo mise al riparo dalle critiche più feroci da parte del pubblico. L’obiettivo principale di Piazzolla, del resto, non era nemmeno tanto suonare, quanto proprio comporre e questo spiega perché, nel 1955, non si fece sfuggire l’occasione per recarsi a Parigi, a studiare composizione sotto la guida di Nadia Boulanger: la grande didatta francese riuscì però a convincerlo che la direzione giusta non fosse quella di ricalcare la strada della musica europea (Astor aveva una grande passione per Bach, testimoniata, ad esempio, anche dalla scrittura dei suoi concerti per bandoneon e orchestra), quanto piuttosto di applicarsi sempre più tenacemente all’impiego degli stilemi argentini, nei quali, a suo dire, risiedeva «il vero Piazzolla».


Quanto la Boulanger avesse visto giusto è sotto gli occhi – oltre che ovviamente nelle orecchie – di tutti, dal momento che, proprio dagli Anni ’60 in poi, la produzione compositiva di Piazzolla conobbe un’impennata quantitativa e qualitativa che, nell’arco di tutta la sua esistenza, lo ha portato a conquistare una notorietà di fama mondiale. Le collaborazioni e gli incontri artistici di Astor Piazzolla, da Gerry Mulligan a Mina, da Georges Moustaki a Milva, Salvatore Accardo e Gidon Kremer sono ormai diventati dei pezzi di storia e l’ampio catalogo delle sue composizioni include lavori orchestrali, da camera, la celeberrima «tango operita» Maria de Buenos Aires, scritta nel 1968 in collaborazione con Horacio Ferrer oltre a più di duecento tanghi singoli. E anche le sue incursioni nel mondo del cinema sono di altissimo livello: basti ricordare che il celeberrimo Oblivion – con Libertango tra le sue pagine più note e amate – è tratto dalla colonna sonora di Enrico IV, il film diretto da Marco Bellocchio nel 1984. Un crescendo di successi e popolarità - conquistata anche e finalmente in patria - interrottosi con la scomparsa nel 1992, che non gli ha comunque impedito di vincere anche un Grammy postumo.

Vibrante, costantemente attraversata da tensioni sotterranee pronte a esplodere in fremiti di passionalità per poi stemperarsi in melodie di grande cantabilità, la musica di Piazzolla ha raccolto e consegnato alla posterità l’anima della musica e del popolo argentino al di là e al di fuori di ogni pur ben riuscita oleografia. Si può dire che, con Piazzolla, il tango sia entrato definitivamente nelle sale da concerto, divenendo anzi, un preciso genere da concerto. E quella formula del quintetto con bandoneon, violino, chitarra, pianoforte e contrabbasso da lui adoperata sin dagli Anni ’60, ha finito per diventare la formazione canonica dei gruppi di tango contempraneo. Per assurdo, proprio la musica di Piazzolla, scritta per essere suonata, ma non ballata, ha riportato in auge il tango nelle scuole di danza e nei programmi delle grandi compagnie.
Un gigante della musica del Novecento, senza dubbio, che ha fatto amare il tango ai pubblici di tutto il mondo, indicando la strada di una nuova, elettrizzante avventura. Le cui radici, appunto, affondano in quel di Trani. Un motivo di orgoglio per la Puglia intera.

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