L'evento

Taranto, s'insedia il neo vescovo Miniero: l'arrivo dal mare come S. Cataldo

Redazione online (Foto Todaro)

Già vescovo di Vallo della Lucania, è stato vescovo coadiutore di Taranto per nove mesi fino alla nomina ad arcivescovo «titolare» della Diocesi ionica dopo le dimissioni di mons. Filippo Santoro

TARANTO -  Ha iniziato oggi il suo ministero episcopale, con una serie di celebrazioni tra città vecchia e città nuova, il nuovo arcivescovo di Taranto Ciro Miniero. Nato a Napoli il 31 gennaio 1958, ha ricevuto l’ordinazione nel 1982 dal cardinale Corrado Ursi. Già vescovo di Vallo della Lucania, è stato vescovo coadiutore di Taranto per nove mesi fino alla nomina ad arcivescovo «titolare» della Diocesi ionica dopo le dimissioni di mons. Filippo Santoro per raggiunti limiti d’età. Quello di Ciro Miniero è stato un approdo ricco di simbologia. ovvero dalle acque del Mar Grande, omaggiando così il patrono san Cataldo che a Taranto giunse proprio via mare. Prima l'imbarco al porto dalla banchina dell’Autorità portuale, un breve tragitto fino al canale navigabile e lo sbarco all’altezza della scalinata del Castello aragonese.

Sulla banchina d’ormeggio, mons. Miniero ha ricevuto il saluto da parte dell’ammiraglio Flavio Biaggi, comandante in capo di Marina Sud. A seguire l’indirizzo di saluto dell’arcivescovo e la benedizione del mare e della gente di mare. Quindi il trasferimento in piazza Castello dove l’arcivescovo Miniero è stato accolto dalle famiglie e il corteo, in preghiera, verso la Cattedrale di San Cataldo all’interno della quale c'è stata l’accoglienza da parte del Capitolo metropolitano. Mons. Miniero si è fermato in adorazione del Santissimo Sacramento e in venerazione delle reliquie del patrono. Poi ha pregato sulle tombe dei predecessori prima del momento di raccoglimento e dell’insediamento alla Cattedra.

Quindi l'indirizzo di saluto da parte del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci, il quale ha ricordato gli sforzi dell’amministrazione "per raggiungere obiettivi di rilancio del territorio ionico attraverso un progetto di rinascita che mette al centro i cittadini e il loro diritto a tracciare la traiettoria della comunità». Il programma del cerimoniale nel borgo antico è terminato con le preghiere delle famiglie e la loro benedizione. Dalla Chiesa di San Cataldo il trasferimento alla Concattedrale Gran Madre di Dio per la celebrazione eucaristica, alla presenza del Capitolo Metropolitano, che ha così concluso l’ingresso in diocesi del nuovo arcivescovo. 

LE PAROLE DEL VESCOVO 

«Taranto è una città molto vivace e complessa, ma credo che abbia già avviato un processo di rivalutazione della propria storia. Rinnoviamo il patto di collaborazione con le istituzioni per portare Taranto sulle prime pagine delle cronache nazionali per farne conoscere le bellezze, il progresso che essa compie e le opere che le danno onore». Così il neo arcivescovo di Taranto Ciro Miniero, che ha iniziato oggi il suo ministero episcopale con una serie di celebrazioni tra città vecchia e città nuova.

«Certo i problemi - ha detto il presule intrattenendosi con i giornalisti - non mancano. Basta camminare per le strade e vedere il colore rosso dei guard-rail a causa delle polveri industriali: ci fanno capire subito che è una realtà malata, una terra malata, e qui bisogna compiere tutti gli sforzi perchè chi può deve mettere nelle condizioni la gente di poter vivere serenamente e tranquillamente con il lavoro e con la salute». Un riferimento anche alla questione ambientale e ai problemi di inquinamento, a partire dai quartieri a ridosso dello stabilimento siderurgico ex Ilva. «Non ci può essere - ha osservato mons. Miniero - chi sta meglio perchè si trova in una zona con minori problemi e chi invece sta peggio perchè costretto a vivere in una zona che porta dei rischi. Tutti abbiamo diritto a una vita dignitosa».

Il neo arcivescovo ha detto di aver colto «la sofferenza più grande nella mancanza di lavoro, nella mancanza di prospettive, e dobbiamo impegnarci perchè tanti giovani restino a Taranto, restino nel sud Italia, per esprimere ciò che hanno preso da qui e hanno maturato lungo il percorso della formazione. Poi certamente possono scegliere dove meglio realizzare la propria esperienza, ma non devono andar via con l’amarezza nel cuore perchè abbandonano la loro terra di origine».

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