La panchina

L’universo acquatico è culla di emozioni

Silvio Perrella

Un viaggio immaginario tra silenzi e masse umide. Mentre si smarrisce il senso della realtà «terrena»

Il suono si allontana mentre si avvicina; porta con sé il ricordo del cammino fatto, del suo scivolare da un ramo o da un piano inclinato; e quando atterra il signor Acciuga lo ascolta come un segnale che lo riguarda e che ha in sé l’essere vicinissimo e lo svanire nel vago nel nulla nell’indistinto.
Sarà una goccia alla quale ne seguirà un’altra; una goccia che tocca la superficie dell’acqua e si fa acqua nell’acqua, liquido sinuoso, ondulato, smosso dai gesti minimi che Acciuga fa per stabilizzarsi nella sua panchina subacquea.
Nel laggiù equoreo i suoni è come se si aprissero, diventando note che hanno nella pancia altre note; e Acciuga non ha bisogno di guardarle per sapere che ci sono; basta che presti ascolto; e che traduca i suoni in stimoli per cercare quel che si trova solo per caso, come una rima che si fa strada alla fine di un verso e si appende proprio lì e dondola e cerca la sua stabilità sillabica aspettando che alla fine di un altro verso succeda qualcosa di omologo o di simile; qualcosa che faccia somma e insieme sottrazione; come il suono che si allontana mentre si avvicina.
Il signor Acciuga fa il pesce laggiù; rimette in sesto le branchie e la bocca gli si muove come un palloncino che si gonfia e si sgonfia.
Avere tanta acqua sopra la testa lo fa star bene; è vero che, rispetto ai tempi in cui era solo un pesce, i suoi simili sono così diminuiti di numero che fare incontri è difficile; però il mare è sempre il mare, un’alcova dove fantasticare di amori infiniti mentre lassù ci si sbrana a vicenda e il sangue scorre sui selciati e i missili speronano cuori e polmoni e fanno saltare in aria gli occhi e gli sguardi, per non dire delle orecchie traumatizzate dagli scoppi e dalle detonazioni.
Le orecchie del signor Acciuga tengono l’acqua fuori di sé pur essendone piene; lo spazio per l’ascolto è come un sentiero che permette ai suoni di scendere negli anfratti dei labirinti auricolari e di propagarsi come notizie diffuse da giovani strilloni agli angoli delle strade.
Il signor Acciuga si distende sulla sua panchina, la testa sulla poppa, le pinne sulla prua e sembra che stia per addormentarsi; e invece è solo un modo di meglio osservare i suoni che vengono da lassù; osservare con esattezza la partitura musicale come avviene con una costellazione alzando gli occhi al cielo.
Non tutti, è vero, riescono a vedere i suoni; ma da qui, facendo esercizi di attenzione auditiva, al signor Acciuga capita che un suono-goccia gli si riveli come una scia, un millimetrato movimento che lascia nell’acqua un particolare sapore.
Vista udito e gusto si uniscono in lui per lasciare transitare una molecola di sapere; che scende fin laggiù; e che sale quando deve salire; e che c’è e che non c’è; e che sta all’immaginazione di Acciuga mettere al mondoo o lasciarla nel sonno dell’impercepito.
I suoni nati nell’aria, nel fuori, quando si versano nel dentro, nell’acqua, è come se avessero bisogno di una traduzione, di un sospingimento verso una loro nuova realizzazione; e il signor Acciuga, che di recente è abitato da pensieri densi di strappi di ferite di traumi, se ne sta in ascolto per versarsi nella mente un’ariosità che l’aria di lassù non ha più; o ha smarrito; o chissacosa.
I suoni sono udito fatto compimento e coinvolgimento; udito che ascolta l’essenziale; e che sa discernere quale misura il silenzio abbia in ogni vibratile emissione di sostanza sonora.
La massa d’acqua preme sugli occhi di Acciuga come sulle sue orecchie; ma sa come non fargli male; non è esattamente una carezza ma neanche uno schiaffo; e quel che sta per accadere non è raccontabile perché accade fuori dal linguaggio dell’alfabeto; è un patto, forse una stretta di mano, forse anche un ammicco, o solamente un’armonia che si dispiega sott’acqua e fa delle bollicine che invece di salire scendono pianissimo e si versano nei sensi desti di Acciuga.
Quel che avviene avviene fuori dal perimetro della pagina; non entra a far parte di un libro, né di un film; è semplicemente un esperimento che si deposita sulle squame di Acciuga e le rende squillanti come carta da musica appena composta.

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