La Panchina

I treni che «sudano» tra arrivi e partenze

Silvio Perrella

Si accendono immagini di quiete e il tabellone si trasforma in una piscina variopinta in cui tuffarsi

La stazione di Roma Termini è ben affollata e la panchina del signor Acciuga gode di una buona posizione di sguardo.
È quasi invisibile sotto il tabellone degli arrivi e delle partenze; tutt’attorno, intenti alle loro destinazioni, uomini donne e bambini fanno crocchio, alzano gli occhi, si sfiorano, respirano affanni improvvisi, dicono l’uno all’altra frasi a saetta, si soffiano il naso; e uno, di stazza considerevole, detergendosi la fronte imperlata, dice: partire è più arduo che partorire.
È una sua opinione; e come tale va presa; e come tale la prende il signor Acciuga, magrissimo d’occhi e d’opinioni.
Quanto gli piace lasciar andare lo sguardo nell’abisso della quotidianità; quanto trova dilettevole fare collezione di dettagli: quei piedi dalle dita ben distanziate nei sandali marroncini con gli strass luccicanti; il tatuaggio che esce dalla camicia e fa del collo un cinema da passeggio; l’appoggiarsi al tabellone pubblicitario che mette in risalto una piccola pancia; lo scollo tra le collinette abbronzate dei seni.
La panchina di Acciuga è nascosta da una rossissima buca delle lettere: da una parte sulla ribaltina grigia c’è scritto: per la città; dall’altra: per tutte le altre destinazioni.
Tappezzata di adesivi e di scritte e di slogan, la cassetta dev’essere scarsamente frequentata da lettere e cartoline. E proprio per questo ha attirato l’attenzione puntiforme di Acciuga.
A lui il vuoto che c’è nei due antri metallici piace molto; lo mette in relazione con gli arrivi e le partenze scritti sul tabellone; con i ritardi che compaiono a trafiggere le ansie di chi calcola che la coincidenza è in pericolo e si dovrà correre lungo i binari col fiatone e il trolley che sobbalza sperando di fare in tempo.
Ma chi riesce davvero a fare in tempo, si chiede Acciuga.
Non certo quella bambina che sguscia tra un genitore e l’altro; non certo i suoi occhi da maga scorticante, che hanno già lo scurore di chi respira a fatica ma non lo sa ancora.
E meno che mai la giovane donna di colore che mette sulle sue labbra a ripetizione un rossetto, ma che molto più probabilmente è uno stick idratante; visto che dice al compagno: le mie labbra stanno andando in fiamme.
Estintori nei paraggi, Acciuga non ne vede; ma, sì, lo sa che è un modo di dire, ma a lui a volte piace prendete le parole alla lettera.
Mentre i treni fanno fatica a fermarsi al binario e poi ripartire verso «tutte le altre destinazioni», arriva un nugolo di ragazzine; non sanno esattamente che direzione prendere; fanno danza di possibilità; si tengono d’occhio l’una con l’altra; scoppiano all’improvviso in risate misteriose.
Una di loro avvicina una coppia di controllori in divisa delle ferrovie, entrambi con il berrettino rosso come la buca delle lettere; sono giovanissimi, un ragazzo e una ragazza, li avranno assunti da qualche settimana o sono solo in prova.
La coppia di controllori parlotta con la ragazzina; da lontano Acciuga osserva i loro gesti; sembra che non riescano a trovare un punto di contatto; le lingue divergono; quali parole stanno usando per dirsi i loro rispettivi destini?
Se la ragazzina fosse spagnola, pensa Acciuga, per lei destino e destinazione viaggerebbero di pari passo; e dunque la direzione di un treno significherebbe anche imbarcarsi in un’avventura molto più impegnativa che un semplice salire e scendere da una carrozza.
D’improvviso il tabellone degli arrivi e delle partenze si oscura; le lettere e i numeri entrano in un repentino letargo che manda in deliquio i passeggeri potenziali dei prossimi treni.
A cosa sia dovuto l’oscuramento non è chiaro: una caduta della rete elettrica; un fulmine non visto che si è introdotto nei circuito delle ferrovie; il desiderio di una sosta, un prendere respiro, un perdere le direzioni, un insonnolirsi dei destini e delle destinazioni.
Il signor Acciuga ne approfitta per schiacciare un sonnellino.
Nel retropelle delle sue palpebre, mentre lui sonnecchia, si accendono immagini di quiete; il tabellone si trasforma in una piscina variopinta dentro la quale tuffarsi e fare qualche bracciata. I treni ai binari si asciugano il sudore.

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