La Panchina
Tra Scilla e Cariddi solo il mare è ponte
Ci sono luoghi impregnati di tempo di salsedine di racconti; luoghi che sono favole di se stessi; luoghi-fonti
Le panchine il signor Acciuga le considera piccoli ponti portatili; ama quelle che fanno da soglia e mettono in contatto mondi diversi.
Quando le trova e ci si siede è per lui un modo di mettere a fuoco le differenze le sfumature quel che fa fatica classificare e che però esiste e vive.
Acciuga ama far ponte di se stesso: collegare, mettere in ascolto reciproco, fare della relazione una cura infinita, ricucire lo sbrindellamento, ripulire l’aria dell’intorno.
Eppure, quando è stato invitato a manifestare contro la costruzione di un ponte, Acciuga non ha esitato ad andare, a mettere il suo corpo di traverso a un’idea che ritiene malsana.
È così che ha disceso la penisola, fino ad arrivare allo Stretto; si è inabissato nel mare che lì prende due nomi; è emerso tutto gocciolante a Capo Faro; e si è unito agli amici che lo avevano invitato.
Quanti erano è difficile da dire; tra loro c’erano anche dei giovanissimi; gli è parso di vedere anche un bambino dagli occhi grandi e ben capaci già di avere idee chiare per virtù d’istinto.
Fare un ponte tra Scilla e Cariddi?
Ci sono luoghi impregnati di tempo di salsedine di racconti; luoghi che sono favole di se stessi; luoghi-fonti.
È inutile dire che il protagonista di questi spazi colmi di tempo è il mare.
È lui da sempre a fare da ponte; non a caso i greci lo chiamavano pontos.
Dopo la manifestazione il signor Acciuga si è seduto su una panchina arrugginita, alta sul paesaggio, vicino alla torre degli Inglesi, con il pilone che serviva a portare elettricità all’Isola fiammeggiante nell’aria del tramonto.
Da lì osserva la pelle cangiante del mare; il suo fare mulinelli e vortici; il rabbrividire veloce che si dirama verso la sponda opposta.
Lui sa quante creature frusciano laggiù; quante manovre di guerra e di pace; quante scie fatte di movimenti improvvisi delle pinne e delle code; quanti occhi in agguato occhi stanchi di avere acqua nell’acqua occhi immersi nelle malefatte che levano trasparenza e navigabilità.
Nulla è mai fermo; la contrattazione non si arresta; ogni spazio va conquistato; e il tempo c’incenerisce e ci riforma.
Lo spazio tra qui e lì sembra vuoto; invece innumerevoli sono le interazioni gli scambi le perdite e gli acquisti; innumerevoli le commedie e le tragedie; e non basta mai un solo gesto perché è necessario che ne segua un altro e un altro ancora.
La massa d’acqua salina che sembra compatta può anch’essa collassare; farsi deserto; implodere e sparire.
Però adesso è davanti agli occhi del signor Acciuga come una pagina complessa da leggere; come un poema che va tradotto all’impronta, scritto in una lingua antica e plurima, diramata e diramante, fatta di ritmi dell’andare e delle soste.
È l’ora che qui i due mari, lo Jonio e il Tirreno, devono stringere un accordo, provando a cercare un modo per stare insieme, per sposare le acque, evitando il maelstrom più vertiginosamente ingoiante.
Chi ha uso guardante di quest’ora marina dice che i mari fanno uno scalino, perché le loro masse non coincidono; e il signor Acciuga se ne fa edotto a forza di sguardi.
È una dissimetria, un bordo che non coincide, un salto, una rivolta temporanea, un dirsi con foga un «no» perentorio che è presto costretto a cambiare di voltaggio.
Ecco il vero ponte, si dice il signor Acciuga; un ponte cellulare, minuto, quasi invisibile, che agisce da sotto e da sopra, che convoca gli elementi primi e li mescola come fossero farine diverse ma capaci di dar forma a un pane universale.
È troppo tempo che in questo luogo avvengono fenomeni di corteggiamento ferale, che le guerre vengono costrette alle paci, che il diverso furoreggia nell’aria nervosa, scendendo a patti, facendosi misurare dalle coste, dal fruscio pennato dei tonni delle fere dei pescespada.
Come poter pensare di buttare in un luogo come questo la squallida iubris di chi pensa che le cose viventi possano essere inglobate nel cemento nel calcestruzzo nell’acciaio.
Il signor Acciuga fa pensieri inondati d’aria e di salsedine; e antivede il respingimento che ci sarebbe se qualcuno provasse davvero a fermare il tempo-spazio di qui; immagina la rivolta dei Colapesce.