La panchina
La peste del presente non conosce antidoto
Le sole sintesi che si possono trovare sono quelle di messaggi con un obiettivo: affiliarti alla schiera dei consumatori
Il signor Acciuga entra in una delle pochissime cabine telefoniche rimaste a Roma. Digita il 9127 e anche se sono solo quattro numeri senza prefisso, dall’altra parte risponde il suo amico indiano che lavora nell’antica farmacia di Santa Maria della Scala.
L’appuntamento è fissato per l’indomani alle 11,30, al numero civico 23 di Trastevere.
Rimette in tasca la locandina dove ogni cosa è ben fissata nel dettaglio e delle tre acque prodotte dal Laboratorio chimico vengono descritte proprietà e particolarità terapeutiche, in modo particolare dell’acqua Melissa Antisterica.
Ogni volta che s’incontrano il monaco indiano e il signor Acciuga sanno che le stanze e i laboratori della farmacia gorgoglieranno possibilità, per poi tornare al sonno nel quale sono costretti dai tempi che corrono, che se ne infischiano di preparati di formule di mescole fatte seguendo antiche ricette.
La stanza più autorevole è quella affrescata, con bilance, bacheche, armadietti, banconi e simboli nascosti in ognidove.
La stanza più affascinante però è quella dove, come in una biblioteca, ci sono gli elementi primi con i quali comporre quel che necessita. In bauletti colorati ci sono bacche, semi, polverine dai nomi più vari e affascinanti: dall’Ononide, alla Schisandra, al Luppolo, fino al Robur e al Migliarino, solo per far volare nell’aria alcune delle loro sillabe curative.
Tra il monaco-mago delle erbe e il signor Acciuga questi nomi rimbalzano come promesse di un futuro dove poter mettere la testa sul cuscino senza che gli occhi si rivoltino nelle orbite in cerca di risposte seppellite nel nulla.
Entrambi sanno che nessuno lavora più per semplificare cercando una sintesi maneggevole e utile; e che purtroppo le sole sintesi che si possono trovare in circolazione sono solo quelle degli slogan, degli spot, dei messaggi con un solissimo obiettivo: quello di affiliarti all’innumerevole schiera dei consumatori.
Né il monaco indiano che ha scelto di farsi carmelitano, né il signor Acciuga vogliono consumare alcunché; passano semplicemente la loro mattinata tra ante colorate sopra le quali si leggono i nomi di Paracelso o di Galeno o di Avicenna e di altri, medici o filosofi tutti sporti verso la possibilità che sia possibile curare usando gli elementi forniti dalla natura.
Il signor Acciuga, seduto sulla panchina a lui riservata, aspetta che il suo amico dia forma ad alcune perle della saggezza. Lui sa bene che conterranno estratti di Ginkgo, l’antichissima pianta cantata da Goethe.
Nel breviario appeso al muro si dice essere indicato nei casi di affaticamento mentale e fisico; e si aggiunge che allevia il mal di testa e migliora la circolazione sanguigna, eliminando i gonfiori agli arti e le conseguenti sensazioni di dolore e di disagio.
Soprattutto gli arti inferiori del signor Acciuga, di tanto in tanto, hanno proprio bisogno di una regolatina; ma in lui non c’è sensazione che non si leghi a un’altra, perché, per quanto la sua natura anfibia lo renda indefinibile e per certi versi scisso, in lui alberga il desiderio nettissimo e radicato dell’unità.
Il monaco indiano, alle prese con le perle della saggezza, ben scandite una per una da una macchina che fa ancora bene il suo lavoro, dice che ormai quasi nessuno aspira al benessere naturale.
Anche i medici più ponderati finiscono per prescrivere farmaci prodotti in laboratori ben diversi da quello di Santa Maria della Scala, dove di naturale c’è ben poco e dove la chimica fa la parte di un leone feroce ed azzannante.
Ma anche qui, caro Acciuga, si è compiuto un gesto misterioso che ha interrotto la trasmissione del sapere.
Delle tre acque prodotte in origine in questo laboratorio, quella approntata per curare la peste si è persa; il monaco che l’ha inventata non ha voluto fosse conosciuta.
Perché, chiede Acciuga.
Forse perché pensava che gli altri non avrebbero saputo riprodurla.
Anche la peste del presente, pensa Acciuga, sembra non avere antidoti; la peste di chi ha slegato la conoscenza dalle fonti e si affida alla tecnologia come a nuova religione; la peste del precipizio in un buio dove la paura troneggia e sbeffeggia.