La Panchina
Quell'uomo-bambino nel ventre di Paestum
Nella terracotta ben lavorata prende forma un delfino, guizza sensuoso e sulla sua schiena liquida galoppa Eros
Il signor Acciuga è un essere venuto dal prima. Lui sente e sa che sotto la superficie il passato deambula alla stregua dei nostri antenati.
Con la sua natura anfibia è lui stesso un antenato magrissimo e guizzante.
Dunque non stupirà la sua contiguità amicale con gli archeologi, con quelle persone cioè che non si accontentano di quel che si vede e appare nell’aria, ma sentono l’esigenza di tuffarsi negli strati precedenti, in quel che la sostanza della terra conserva ancora di quel che fu e dunque di quel che ancora potrebbe essere.
È per questo che la panchina di Acciuga a volte si colloca davanti alla tomba del Tuffatore di Paestum e ne ammira dettagli e fattezze.
Quel lanciare il corpo nel vuoto, sentendo l’aria accarezzare la pancia, le braccia fendere le cromie, gli occhi cercare a volo la salvezza di un atterraggio possibile e degno.
Quel provare ad orientare i piedi per evitare spruzzi indesiderati quando l’impatto con l’acqua non è più procastinabile.
Ma soprattutto quel non sapere cosa ci sia lì nel fondo del tuffo: se altro tempo utile a prolungare le funzioni del corpo o un vuoto ostile e malevolente in tutto simile al nulla o al deserto dello zero.
La superficie su cui è dipinta la figura aerea del tuffatore ad Acciuga a volte appare come un’icona: non c’è l’oro, certo; ma lo stesso gli si configura come una porta che basta un nonnulla, un batter di ciglia per assestato, per mettere in comunicazione il visibile con l’invisibile, il qui e l’altrove, il presente e il passato, la dura consistenza del reale e la fantasticheria ben nutrita dalle fonti.
Mentre il signor Acciuga è lì, fermo nel suo corpo squamoso, ma con gli occhi nomadi sull’immagine, gli amici archeologi fanno viavai intorno a nuove scoperte, se ne entusiasmano, portano notizie di ritrovamenti cospicui e mostrano in particolare un piccolo oggetto che a prima vista sembra avere la vermiglia consistenza del corallo.
Viene dallo strato di Paestum che prese il nome di Poseidonia, secoli e secoli fa; una città edificata in dialogo intimo con il mare, con l’ondeggiamento perenne della sua schiumante superficie.
Il piccolo oggetto passa di mano in mano ed eccolo finalmente sul palmo palmato di Acciuga.
Basta solo il contatto ad aprire un mondo che ristabilisce naturalezza d’ipotesi, contiguità di percezione, riconoscimento di somiglianza.
Nella terracotta ben lavorata prende forma un delfino: guizza sensuoso, gli si vede l’occhio che è acqua scrutante nell’acqua, mentre le onde come un teorema mobile lo sorreggono e lo sospingono e la coda fa festa al movimento all’andare allo scoprire.
Sulla sua schiena liquida galoppa un uomo-bambino, si appoggia a un mantello fatto d’aria, che rima con le onde sottostanti, lo si vede di tre quarti, le braccia in cerca d’equilibrio, il viso un solo pensiero con l’avventura, il corpo snello.
Il palmo palmato di Acciuga freme, vibra, comunica anche agli archeologi che lo osservano una simpatia istintiva.
Capiscono che lui sente allo stesso modo sia il delfino, suo conterraneo di onde, sia il giovane corpo che gli è sopra, anfibio come lui, essendo insieme sia un uomo sia un dio.
Sì, quell’uomo-bambino nient’altro è se non Eros, lui, il terremotatore degli istinti, il vulcano sempre pronto ad esplodere che sta nel sotto di ognuno di noi, nel prima e insieme nell’adesso.
Da quanto tempo, pensa Acciuga, questo manufatto marino fatto di terra dorme nel ventre buio dell’attuale Paestum?
Come avrà fatto a respirare; come avrà imparato le legge ferree della speleologia?
Guardare, toccare, chiedersi, immaginare per Acciuga adesso, con il dio a cavalcioni del delfino così vicino, è un tutt’uno.
Basta che ritorni a fissare il tuffatore raffigurato nella porta-tomba per vedere l’energia allo stato puro riprendere forma e forza.
Restituisce il piccolo oggetto rossastro agli amici archeologi e rimane solo sulla sua panchina. I suoi pensieri sono come onde che vengono incontro a far festa alla mente.
Eros torna per attimi incerti a dar notizia di sé nel buio terroso nel quale siamo tutti ficcati.
Il signor Acciuga piange di gioia ed erotica malinconia.