Meridiane

Dal sisma all'arte la bellezza nel vuoto

Silvio Perrella

In Sicilia il Cretto di Burri è una Pompei che vorresti capovolgere. Il fascino dell'antica Gibellina che dorme

Sento il suono delle scarpe che salgono nel vuoto curvo e bianco. Il fiato si fa grosso e quando mi fermo si ferma anche lo scricchiolio.
Silenzio fuori e frastuono nella mente.
Qui ci fu una città di nome Gibellina; in una notte che corrisponde ai miei otto anni gli scossoni della terra la fecero a pezzi; i respiri furono frantumati, interrati in un’arsura di denti rotti; io nel mio letto palermitano sobbalzai.
L’alba del 15 gennaio 1968 arrivò illuminando macerie.
Salgo, desidero sguardo largo, affondo gli occhi in fenditure che furono vie, arrivo ai confini del Cretto.
L’ho visto comparire da lontano come una coperta bianca a trapunta; è apparso nel bel mezzo di una curva del Belice.
È il Cretto di Burri.
Opera maestosa, demiurgica, una Pompei che vorresti capovolgere.
I suoni delle scarpe e del fiato compongono una polifonia del dubbio.
Arrischi definizioni, ma sarai respinto in un angolo. Sudario, cimitero, orologio perpetuo, meridiana di frantumi, labirinto senza filo di Arianna; disfati del catalogo; abbandonati all’uso caleidoscopico e binario degli occhi.
Il Cretto ha un firma; ma è anche un manufatto esposto alle vicissitudini del tempo.
Iberna le rovine: tetti sfondati, finestre svuotate di vetri, cessi spaccati, camini spenti per sempre, una scarpa, un letto claudicante…
Ne fa isola bianca che sale a superare gli occhi.
Ad isola bianca con gli angoli smussati accosta isola bianca.
Rimane solo il tracciato viario: serpentino, molteplice di bivii, sussurrante andirivieni persi.
Appare un cane; ha un viso mansueto; guarda con occhi sapienti e malinconici; muove la coda come un sismografo.
Capisco che vuol essere seguito.
Mi solleva dalla responsabilità di trovare la traversa giusta.
Scende sicuro, toccando con il pelo il bordo delle isole; svolta sicuro; si ferma a respirare.
Mi suggerisce di andare giù, a valle; di cercare Gibellina nuova; di fare occhi a contrasto tra il qui bianco e il lì variopinto di opere ardite: chiese che sembrano astronavi, piazze sgomente di ceramiche, teatri che merlettano l’aria, musei a trama mediterranea di opere, cavalli che si addormentano sul sale di una montagna bianca come il Cretto.
Laggiù c’è la sapienza di Giulio; attende pronto al racconto accogliente; ha raccolto il testimone di Ludovico Corrao, il senatore.
Mentre viene il buio a riempire l’aria, facciamo passi insieme.
Lui ha il blu stampato addosso: negli occhi, nella coppola, negli altri vestiti, sulle dita che indicano.
L’antica Gibellina che dorme nel ventre multiplo del Cretto e la nuova Gibellina sanno l’una dell’altra?
C’è una strada che le unisce?
Uno scendere d’acque meditanti che le abbevera entrambe?
Nel silenzio della notte il frastuono nella mente riprende.
I visionari di ciò che c’è si chiamano lungo corridoi vetrati; dubitano lanciando respiri vasti.
Sanno di quante cure abbisognano i loro gesti?
Ognuno di loro appare a frammenti: una bocca semiaperta, una giacca chiara un po’ curva, occhi che indagano, piedi un po’ storti, capelli tirati indietro, gomiti appoggiati su un tavolo circolare, gambe accavallate, dita che usano matite colorate, ginocchia doloranti…
A convegno, geni dell’impossibile, vi chiamano le tragedie della terra, i maremoti, le ignavie, le terrificanti e futile impossibilità!
Fate dei vostri gesti catene spezzate; riedificate Gibelline possibili; ridate alle Pompei sottostanti e soggiacenti la luce dell’alba; traete dai vuoti calchi carnali fatti di mani nelle mani e di sorrisi sorgenti.
Tu che traffichi con il tempo, che cerchi luoghi invasi da vuoti invitanti e collezioni sviamenti, oggi sei giunto a Gibellina come Vittorini giunse nelle città del mondo; trainee tracciati di sillabe; fanne vociferare d’ipotesi.
Hai ancora otto anni; sei nel tuo letto; papà e mamma dormono nella stanza accanto; fratello e sorella sognano vicini; Palermo sobbalza; inizia un anno di sommovimenti; la musica dà un ritmo indiavolato ai piedi; tutti svegli all’improvviso.
Il ‘68 giunge ovunque e ovunque prende la forma che può.
È terremoto, sviamento, sentimento, misura smisurata di novelle avventure e sempiterne disavventure.

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