Lessico Meridionale
Uno sguardo rivolto al «Cuore» violento dei nuovi Franti nell'Italia di oggi
Tornano in mente le pagine di De Amicis intrise di eroi domestici in una Patria nel suo farsi moderna e giusta
Dal Cuore di De Amicis: «Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. È malvagio. Se viene un padre a scuola a fare una partaccia al figliuolo, egli ne gode; se uno piange, egli ride. Trema davanti a Garrone, e picchia il “muratorino” perché è piccolo; tormenta Crossi per il suo braccio morto; schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfino Robetti, quello che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provoca i più deboli. Ha qualcosa che mette ribrezzo in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcuno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni dalla giacchetta, e ne strappa agli altri. Ha cartella, quaderni, libro, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna mangiata, le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa nelle risse. Dicono che sua madre è malata dagli affanni ch’egli le dà, e che suo padre lo cacciò di casa tre volte; sua madre viene ogni tanto a chiedere informazioni e se ne va sempre piangendo. Egli odia la scuola, odia i compagni, odia il maestro. Il maestro finge qualche volta di non vedere le sue birbonate, ed egli fa peggio. Provò a pigliarlo con le buone, ed egli se ne fece beffa. Gli disse delle parole terribili, ed egli si coprì il viso con le mani, come se piangesse, e rideva. Fu sospeso dalla scuola per tre giorni, e tornò più tristo e più insolente di prima. Derossi gli disse un giorno: - Ma finiscila, vedi che il maestro ci soffre troppo, - ed egli lo minacciò di piantargli un chiodo nel ventre. (…) “Dopo trent’anni che faccio scuola!” esclamò tristemente, crollando il capo. Nessuno fiatava. Le mani gli tremavano dall’ira, e la ruga diritta che ha in mezzo alla fronte, era così profonda, che pareva una ferita. Povero maestro! Tutti ne pativano. Derossi s’alzò e disse: - Signor maestro, non si affligga. Noi le vogliamo bene. - E allora egli si rasserenò un poco e disse: - Riprendiamo la lezione, ragazzi».
Il giorno dopo Franti non si presentò a scuola con un fucile e non sparò ai compagni, né al maestro Perboni o alla maestrina dalla penna rossa. Non in Italia, almeno. In Italia, in quella di allora, dovette ubbidire e imparare la lezione. Oggi commissiona la rappresaglia alla famiglia.
Franti si consegnò alla storia della letteratura aspettando di essere riscattato dal casellario giudiziario della disciplina scolastica del libro Cuore da Umberto Eco che ravvisò in quella incoercibile renitenza alla disciplina scolastica le avvisaglie di una lotta di classe ineluttabile. L’ingegno di Eco volle azzardare il paradosso sociale di attribuire la riottosa negligenza, la rabbia altera di Franti alla ribellione sociale che costui, confusamente, interpretava nell’Italia ansimante per la giovane identità nazionale.
Il paradosso affascinò anche me: fui costretto a rivedere la mia indignazione adolescenziale e guardai al discolo Franti, all’incorreggibile Franti come a un ribelle scarmigliato, al simbolo scapestrato di una incoercibile rabbia «di classe» che sfidava la classe di scuola dei disciplinati futuri sudditi del regno. Posizione anche questa deboluccia e periclitante. Ma il gusto del paradosso conquistò me e molti che, come me, avevano amato il libro Cuore.
Il fatto che mi tornino in mente quelle pagine e quegli eroi domestici di una Patria nel suo farsi moderna e giusta narrati da un socialista umanitario ansante di angustie sociali, è dovuto a moderni episodi di vita scolastica, ad altri alunni, ad altri maestri. Le cronache si occupano, non i romanzi, di Franti molto scostumati, torvi teppisti più che ribelli irriducibili, piccoli, impenitenti delinquenti che non riconoscono l’autorità della scuola, non ravvisano in questa un’istituzione dello Stato cui deve andare il rispetto di tutti i cittadini e la collaborazione appassionata delle famiglie e della società, apprendisti criminali che aggrediscono letteralmente e fisicamente maestri e professori. Con l’arrogante ferocia di chi non sopporta di essere educato.
La madre di Franti, sconsolata, andava dal maestro Perboni a chiedere comprensione e pietà, non a vendicare il pargolo. E suo padre non venne in aula per avventarsi sul maestro o sul direttore e picchiarli.
In questo non ravviso solo la differenza tra due Italie, due società, ma individuo una sconclusionata e qualunquistica rivendicazione del personalissimo e antisociale ruolo belluino e spazio esistenziale egoistico della «famiglia», fino all’odio per l’altro da sé, per il prossimo in genere. Soprattutto se questo ha le responsabilità della guida socioculturale e se è un’autorità. Il Franti figlio viene prima di tutto e di tutti col suo telefonino. Guai a toccarlo, ma che dico, guai a correggerlo, guai a tentare di educarlo. La retorica rimbomba: uno vale uno. Comunque: senza valutare e considerare l’indole e il grado di educazione, cultura, formazione. Infatti, ancora oggi, «Franti, l’infame, ride». Negli Stati Uniti spara. Anche in Italia si comincia.