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Le grandi aziende ritornano al lavoro in sede. Lo smart working non è stato capito?

Emanuela Megli

Non si tratta di un annullamento dello smart working, ma solo di una sua disciplina e regolamentazione corretta insita nel buon funzionamento della misura

BARI - Le grandi aziende ritornano al lavoro in sede. Lo smart working non è stato capito? 

O forse non siamo pronti? Cosa accade realmente? 

Come in tutte le cose, troppo e troppo in fretta non vanno bene, perché i nuovi modelli di organizzazione del lavoro vanno compresi e adattati alle necessità specifiche dei gruppi che li adottano. 

Se la pandemia da Covid aveva dato un’impennata all’utilizzo delle misure di flessibilità oraria e organizzativa – primo fra tutti lo smart working – ora c’è il dietrofront, e la prima grande società nel campo della tecnologia, Amazon, ha deciso che dal 2025 ritorneranno tutti a lavorare in sede cinque giorni su cinque. 

La decisione riguarderebbe alcuni vantaggi che la società ha rilevato, come la capacità di apprendere meglio gli uni dagli altri, il rafforzamento della cultura organizzativa e la capacità di dialogare e fare riunioni e brain storming in presenza. Tuttavia, Amazon, mette in conto che tale decisione richiederà alcuni aggiustamenti, soprattutto per coloro che avevano organizzato le loro vite per fare alcuni (2/3) giorni fissi a settimana in smart work e afferma che sarà data la possibilità di utilizzare lo smart working su richiesta in caso di esigenze particolari, come visite mediche o problemi di salute dei figli, ma non sarà più uno strumento da dare per scontato e da applicare in modalità stabile. Infatti, si legge anche tra le decisioni di altre Big Tech, come Zoom, che la misura sarà adottata solo se motivata e approvata dal supervisore di riferimento. Il ritorno da 2 giorni in presenza a 5 sarà progressivo fino al 2 gennaio prossimo. 

I primi commenti riportano una possibile crisi delle aziende con successivi licenziamenti delle figure migliori, anche in considerazione del fatto che la capacità di lavorare per obiettivi con indicatori di risultato e di costruire un buono spirito di squadra dipende dalla maturità psicologica rispetto al ruolo del/la lavoratore/trice e dal suo livello di anzianità di servizio.   

Peraltro, ricordiamo che quando lo smart working viene usato in sostituzione di ferie e permessi, diventa poi ancora più complesso per le imprese aiutare i lavoratori a smaltirle, creando un problema dal punto di vista retributivo in caso di fine rapporto di lavoro. In effetti la misura dello smart working prevede una pianificazione delle attività, in sede e da remoto e la richiesta ai responsabili di autorizzazione del lavoro da remoto entro un numero di giorni sufficiente alla valutazione delle possibilità di concederlo e di organizzarlo.

In tal caso, non si tratterebbe di un annullamento dello strumento di flessibilità, ma solo di una sua disciplina e regolamentazione corretta, che durante la pandemia è stato invece applicato in modalità emergenziale, senza i vincoli necessari al suo buon funzionamento. 

Sarà complicato adesso far abituare le nuove generazioni che in fase di candidatura alle posizioni professionali aperte utilizzano la flessibilità oraria come benefit indispensabile per la negoziazione e la scelta del lavoro

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