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L’estate e la libertà rivendicata dei giovani. Ecco come gestirla
In vacanza i ritmi della giornata saltano e i figli, adolescenti (pre e post), prendono abitudini e modi di fare orientati alla libertà in cui i genitori non sanno come regolarsi
In vacanza i ritmi della giornata saltano e i figli, adolescenti (pre e post), prendono abitudini e modi di fare orientati alla libertà in cui i genitori non sanno come regolarsi.
I figli e le figlie non ci appartengono. Appartengono a loro stessi.
Ma il timore che “si perdano” e che si facciano male durante la crescita, impone la ricerca del giusto modo di seguirli. Si tratta di accompagnarli, stando né troppo vicini, né troppo lontani. Devono sapere che i genitori ci sono, mentre perseguono la propria autonomia e indipendenza. Quel porto sicuro da cui poter partire e a cui poter ritornare, in caso di necessità o per il piacere di condividere il loro percorso.
E questo vale sia per le esperienze di esplorazione nello spazio e nel tempo, sia nella ricerca di sé, che avviene nel loro mondo interno.
Una presenza affettuosa e autorevole regolando lo stile di relazione, consente di conquistare la giusta fiducia perché essi sentano la possibilità di aprirsi se lo desiderano o di contestare e dissentire. Aprendo un dialogo autentico e sereno. Se e quando loro lo desiderano.
Uno stile troppo rigido o asfissiante allontana la possibilità della loro condivisione. Uno stile troppo permissivo rischia di perdere il contatto con loro e risulta assente e trascurante.
Si tratta di esserci in punta di piedi, con rispetto, amore e contenimento delle esuberanze che la ricerca della libertà e di identità porta con sé.
Chiediamoci nella relazione con loro: cosa mi muove? Quale stato d’animo ispira il dire e l’educare? Paura? Amore?
I ragazzi hanno bisogno di genitori che gli indicano che le scelte che fanno vanno orientate al proprio bene, alla realizzazione di sé stessi e del loro progetto di vita, in linea con l’affetto e la protezione che i genitori perseguono perché un giorno, da adulti, sappiano farlo da soli, per sé stessi.
Non per un principio di rispetto dell’autorità fine a sé stessa, non per il riconoscimento del ruolo di genitore o per il riconoscimento di esser estati messi al mondo con sacrifici. Poiché la vita è stata un dono che essi hanno fatto loro. E non va usato come ricatto. L’amore non ricatta e non chiede in cambio nulla. L’unica cosa che importa ad essi deve essere che il bene offerto per amore possa portare dei frutti nella loro vita. E per farlo essi li accompagnano stando al loro fianco, come alleati prevalenti al mondo.
Se i figli sentono questo atteggiamento, prima o poi, al di là delle liti e delle ribellioni e chiusure, lo sentono e ricambiano l’amore e la stima.
Si tratta dunque, di elevare la genitorialità ad un livello più alto, più spirituale, in cui i figli non vengono considerati proprietà, ma esseri umani altri, persone distinte, portatori del loro modo di stare al mondo in una dinamica positiva e integrata nella relazione famigliare e sociale.
Per i genitori, poter essere riconosciuti e ascoltati, diventa quindi un privilegio conquistato con la stima e non con la coercizione, seppure nel desiderio che essi imparino ad aderire alle regole per il proprio bene e a diventare persone adulte, nel dispiegamento della propria unicità e specificità.
La regola è nella relazione di stima e di fiducia che parte dal genitore. La regola è una buona condotta utile a stare bene, anche se per i figli significa dover rinunciare a qualcosa. Si può provare a spiegarla con serenità e calma e se viene disattesa, è necessario far comprendere ai figli quali sono le naturali conseguenze del loro comportamento. Lasciare, ove possibile, che siano le azioni naturali che scaturiscono dal loro comportamento a determinare la regolazione delle libertà. E non il tentativo di regolarlo in modo diretto e autodeterminato da punizioni o da privazioni. Mettendo la loro crescita responsabile e la bontà delle loro scelte in correlazione all’aumento della responsabilità e quindi delle libertà (economiche, di mezzi, di tempo e di spazio). I figli riescono a comprendere che non è il genitore che dispone le sorti della loro vita, in modo prepotente e impositivo, ma che egli si limita a manifestare una direzione da prendere, per il proprio bene, facendo fare ad essi l’esperienza di come funziona la vita, già nella relazione famigliare, dove avviene in modo più protetto. Poiché in genere la vita presenta le dirette conseguenze dei nostri comportamenti, senza mediazioni e senza protezioni: non offre seconde possibilità.
Ecco perché la genitorialità è un accompagnamento, perché in modo mediato i figli fanno le prime esperienze individuali di quello che anche i genitori fanno nel loro percorso di adulti. Pertanto, la genitorialità è un’esperienza di tutoring, in cui ascolto, confronto e dialogo diventano essenziali per definire le scelte e orientarsi alla crescita.