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Quella (donna) che ti puoi portare
Il gap di genere, che nasce dalla mancanza di riconoscimento del valore della persona quale soggetto di relazione
Sulla questione di genere, prima ancora del gap salariale e dello squilibrio nella distribuzione dei ruoli di cura, emerge una configurazione della rappresentazione mentale della donna da parte dell’uomo che la identifica come oggetto, come cosa, di cui egli dispone e che esiste solo in base alla rappresentazione di questo. Giammai un altro soggetto diverso e distinto da sé, dotato di proprio libero arbitrio, giudizio personale, personalità. Una delle forme più acute di violenza nella relazione, infatti, che viene prima di qualunque altra prevaricazione o prepotenza, è l’idea assurda di poter annientare l’identità di un altro/a assoggettandola alla propria. Minando, dunque, il riconoscimento dell'alterità e la valorizzazione della persona, ostacolando la sua piena realizzazione umana. Si arriva a non concepire l’esistenza dell’altro indipendente e distinta dalla propria: si riconduce a sé tutta la dinamica relazionale in cui invece anche l’altro/a ha un ruolo indipendente e congruente con il proprio contributo personale e specifico.
Questa dinamica di tendenza al possesso, che si orienta quindi all’identificazione del posseduto come oggetto d’amore e non come soggetto d’amore, con la propria personalità, è tipica di molti atteggiamenti, convinzioni e modi di fare e di dire a danno delle donne.
“Quella che ti puoi portare”, è una delle frasi pronunciate da alcuni uomini in un gergo maschilista spesso acquisito per “cultura”, che denota una chiara definizione di un oggetto da predare, che ha le caratteristiche giuste per essere “esposta” in ambienti pubblici e sociali. A differenza di queste ultime, ci sono altre donne - che non ti puoi portare – le quali già all’apparenza manifesterebbero caratteristiche inadatte, probabilmente inerenti la loro reputazione, le fattezze provocanti, il linguaggio del corpo invitante, il linguaggio aperto, esplicito e poco diplomatico, tali da sembrare fuori luogo o peggio capaci di incrinare la rispettabilità sociale del soggetto che la porta al proprio fianco, o di adombrare la sua immagine. Donne che però, in altri contesti privati, se non proprio nascosti, invece, sono perfette per soddisfare altre rappresentazioni libidiche e istinti pulsionali, che se limitati a quell’uso esclusivo e occulto, soddisfano una perfetta funzione oggettuale. Peccato che anch’esse diventano donne oggetto o preda, perché frequentate dietro l’inganno di una promessa d’amore o di protezione.
Infatti, sia le prime, “quelle che ti puoi portare” (donne oggetto), sia le seconde, “quelle che non ti puoi portare”, sono persone manipolate dall’uomo per diversi scopi non dichiarati in modo diretto, ma camuffati in modo subdolo sotto sembianze di progetti d’amore o di amori proibiti e impossibili che non vedranno mai il lieto fine.
Serve un’educazione che parta dalla consapevolezza di sé e dalla capacità di rispettare e valorizzare l’altro nella relazione, come sé stessi, a cominciare dalla relazione genitoriale.