Agil@mente

Gli esami della vita non finiscono mai

Emanuela Megli

Come gestirli senza farsi intrappolare dalla paura del giudizio?

Cosa sono gli esami? Se dovessimo chiederlo ai ragazzi giunti agli esami del diploma scolastico, avremmo perlopiù una definizione che attiene alla dimostrazione del sapere e del saper fare.

La parola esame deriva dal latino e significa propriamente «ago della bilancia», da esigĕre «pesare». 

Dunque, l’ago che consente la funzione della bilancia di soppesare una quantità. 

L’ago, pertanto, non può cambiare la sostanza o il peso della stessa, può solo fornire indicazioni sul suo valore in chilogrammi nel momento della pesata. 

Se considerassimo un esame per quello che è, infatti, non avremmo il portato di emozioni, che si associano allo stesso. È importante tenere bene a mente che l’ago svolge il ruolo di “pesatore” del compito e non ha potere di giudizio sulla persona, né tantomeno ha il potere di modificare la sostanza dell’essere persona con tutte le qualità di cui è dotata. Un compito che viene pesato nel momento della misurazione, il cui peso, oltre a risentire di diverse influenze interne ed esterne al soggetto, può variare nel tempo e nel corso della vita. 

Un esame risente soprattutto delle convinzioni di autoefficacia (Bandura 1995), che possono essere fornite tramite consigli verbali, metafore, discorsi persuasivi e che si fondano soprattutto sulle esperienze dei soggetti. Per questo è molto importante che il sistema educativo e scolastico, sia in grado di far sperimentare situazioni di successo agli studenti e che si impegni a creare condizioni favorevoli per lo sviluppo del senso di autoefficacia. In condizioni di incertezza e di difficoltà, il senso di autoefficacia trae benefici quando le altre persone esprimono giudizi positivi, invece che dubbi. 

In condizione di “prova” e di “esame” le attribuzioni dei candidati sull’ambiente esterno influenzano il loro stato emotivo e quest’ultimo crea attivazioni che influenzano la prestazione e il compito, rafforzando in positivo o in negativo il senso di autoefficacia. A questo riguardo è molto importante elaborare i significati sull’esperienza e gestire il proprio stato interiore con un buon ascolto di sé e con qualche pratica di respirazione e di rilassamento (mindfulness) che permettono di essere presenti e in osservazione neutrale di ciò che c’è.

La bellezza del sapere non ha nulla a che vedere con la necessità di dimostrare l’apprendimento in una valutazione. Recuperare il piacere di apprendere, significa concentrare gli sforzi nell’esperienza in sé, entrando in una condizione favorevole di esplorazione curiosa e spontanea. Il rendimento e il peso del proprio bagaglio acquisito saranno, in tal modo, soltanto una parentesi, che non è sufficiente a soppesare anche tutto il portato di valore e di crescita di una persona nel corso degli anni di studio e di vita. Non è raro, infatti, che studenti con un “peso” più leggero, posseggano nel lavoro più capacità sociali e trasversali (D. Goleman, 2000), come la capacità di accettare la frustrazione, l’individuazione e la risoluzione dei problemi, capacità comunicative e relazionali e così via, poiché quell’ago della bilancia pesa solo le conoscenze acquisite e non ancora purtroppo, il riconoscimento del valore della persona nel suo complesso, creando anche delle condizioni che siano favorevoli al suo sbocciare, crescere e svilupparsi. Come sosteneva Maria Montessori “gli studenti non sono vasi da riempire ma una sorgente da lasciar sgorgare” e l’acqua non ha forma, ma assume la forma di ciò che la contiene. Programmi e sistemi di valutazione possono essere usati, ma a servizio dello sviluppo complessivo delle persone, considerandoli in second’ordine rispetto ai bisogni e alla funzionalità di un metodo che promuove la persona nel processo educativo, che diventa infatti propulsore dell’apprendimento, il principale motore di successo (inteso come realizzazione) educativo.

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