Agil@Mente
Ecco come gestire il cambiamento della comunicazione, in famiglia e sul lavoro
Dall’autorità del ruolo al potere di essere in relazione attraverso stima e amore
“Deve capire come si risponde ad un padre. Se non ti comporti bene, non farò più niente per te. Se non impari l’educazione, rischi di diventare un escluso e un fallito a vita!” Frasi ascoltate tante volte nei dialoghi tra genitori e figli.
Parallelamente osservo interrogativi sullo stesso tema nel lavoro. “Se sono troppo buono, rischio di non riuscire a svolgere bene il mio ruolo di capo. Se sono troppo amico con i miei colleghi, non posso essere fermo e capire come far rispettare ruoli e responsabilità.”
Sembra quasi che ci siano delle sovrastrutture legate ai ruoli, che tuttavia in questo periodo storico stanno vacillando. Ma da dove provengono? Hanno sempre fatto parte di noi?
In questo momento attuale, sembra che non ci sia più spazio per essere solo ciò che il ruolo richiede, sempre più stanno cadendo etichette, formalità, rigidità e si fanno spazio informalità come il “darsi subito del tu”, il lavorare gomito a gomito con persone di diverse età e nazionalità, estrazione sociale e culturale. E tutto questo richiede un approccio flessibile, diretto e basato su poche norme socialmente riconosciute e accettate, ma in un clima di famigliarità e spesso di intimità, sia nei luoghi di lavoro che in contesti sociali e amicali.
Siamo scaduti nel permissivismo? Siamo in una sorta di Paese dei Balocchi collodiano?
No, stiamo attraversando il passaggio da un’educazione basata su un codice normativo ad una basata su un codice affettivo, in famiglia, ma anche al lavoro, con la leadership gentile e autorevole. Da qui, si stanno modificando le caratteristiche di rigidità nella comunicazione e nei rapporti.
L’idea che abbiamo bisogno di indossare una divisa, quella del ruolo, per essere riconosciuti e ascoltati, è tipica del periodo post-bellico, influenzato dall’ipotesi che attraverso relazioni basate su rapporti di potere (come per il patriarcato) è possibile ottenere rispetto, per la paura di conseguenze negative.
Al contrario, quella forma antica e autoritaria, minacciosa e giudicante esprime un potere gerarchico, percepito come impositivo e prevaricante, che suscita resistenze, reazioni, evitamento.
Nelle relazioni, invece, sono stima e amore, i due fertilizzanti del rispetto autentico e della fiducia, per i quali in realtà viene riconosciuta nella semplicità della sua grandezza, la competenza di chi in un qualsiasi ruolo di responsabilità, genera sequela e apprezzamento, pur nel rispetto delle regole e del ruolo (che si verifica di conseguenza).
Un bambino che si ribella va accolto e compreso, non giudicato, poiché spesso dietro un atteggiamento ostile, irriverente, resistente, si nasconde una richiesta di aiuto, una carenza affettiva, che egli non sa come esprimere.
Chi ha più strumenti, ha più responsabilità, di comprendere, di gestirsi emozionalmente per accogliere chi ha bisogno e non riesce a manifestarlo nel modo corretto.
Dietro insoddisfazione e demotivazione dei collaboratori, ci possono essere dei bisogni inespressi, non solo perché non sono stati verbalizzati, ma poiché per favorirne l’emersione, servono strumenti, competenze, professionalità capaci di creare un contesto e un clima di ascolto, aperto, non giudicante, che metta in connessione profonda le persone con sé stesse prima e con il gruppo poi. Figure “terze” indispensabili, come gli educatori e formatori, i coach, gli psicologi del lavoro, che grazie al loro modo di essere, oltre al fare, possono favorire un vero dialogo e un cambiamento verso la crescita e l’evoluzione.