LA RUBRICA
Gianni Ciardo: «Io creatura barese scriverò come sogno»
This browser does not support the video element.
Partono dal dialogo con Dante le interviste del comico sul lunedì della «Gazzetta»
Beh ci siamo! L’orgoglio ed il prestigio che mi accompagna sin dall’età dello sviluppo nel ricevere onori e glorie, ancora una volta nella mia vita, persiste ed incombe. Questa è la deontologia della mia vita. Non è presunzione, è verità. «La Gazzetta del Mezzogiorno» non è un giornale, è un’Anima. Io, creatura della città di Bari, scriverò «su di lei». Non sono un giornalista. Scrivo come sogno. «La vita è un sogno e poi ci sveglieremo». Questa è cultura. Questa frase la disse Albert Einstein, non è mia. La cultura è un’altra cosa. La mia cultura la devo alla mia ignoranza. E grazie a questa, incontrerò per delle impossibili interviste, Dante Alighieri, Giacomo Leopardi, Gabriele D’Annunzio, Cristoforo Colombo, Woody Allen, Medea, Gesù ed altri sogni ancora.
Non sarò banale nel resto delle interviste impossibili che grazie alla «Gazzetta» leggerete, nonostante me! Ogni lunedi ci sarò!
Ho citato Dante Alighieri, perché senza di lui nemmeno i giornalisti bravi avrebbero potuto scrivere in italiano. Attraverso “La Gazzetta del Mezzogiorno” io «darò» (che sarebbe il futuro prossimo del verbo dare). Dante è il verbo. Dante è il participio presente del passato del verbo «dare». Io do, tu dai, egli Dante, noi daremo, voi darete, essi daranno. Che bella la nostra lingua italiana! Il dialetto è una scorciatoia, però che sia sempre con rispetto e misura. L’Italia è italiana. La «Gazzetta» pure! Per chiarire: il sottoscritto non dà consigli, ma solo pareri. È come parlare della differenza che c’è fra una salita ed una discesa. Se la salita la vedi dal basso, rimane una salita. Se la vedi dall’alto, diventa una discesa. È come se una mamma vedesse il proprio figlio andare in guerra e dicesse: mi raccomando non litigare con nessuno! È come fare la televisione. Fare la televisione non vuol, dire soltanto apparire. Prima la televisione la faceva solo chi la sapeva fare. La televisione è una sola: c’è chi la fa bene e c’è chi la fa male.
Comunque, prendiamola a ridere, ridere, ridere, ridere, è un motto di tanti spiritosi, spacciatori di comicità. È brutto sapere che ci popolano. Molti di loro, con il modo di far ridere, sono invece tristi. Molti, da soli non ce la fanno e si mettono in coppia; molti si fidanzano fra loro con il progetto nascosto di lasciarsi alla prima occasione! Questo invece è quello che a me fa ridere!
Gli antichi dicevano che ridere fa bene, soprattutto allo spirito, ma anche all’organismo perché rinforza e aumenta la presenza di sostanze benefiche. Un cuor contento è meglio di una medicina, ma un cattivo e malinconico temperamento, povero di spirito, rovina le ossa. Molti le ossa non le hanno nemmeno. Una bella risata aiuta i «tristi» e le nature malinconiche che hanno il petto e le mani fredde, (perciò si dice «freddo in petto»). Ridere non vuol dire raccontare o ascoltare le barzellette. Quello è un riso senza gusto, freddo, dopo cena. Le barzellette possono essere dette da chiunque. La risata può scaturire anche da un paradosso spontaneo o filosofico. Anche Proust, che era uno serio, una volta disse: «… È meglio andare a letto col culo gelato che non con un gelato in culo!» Ecco, questo è umorismo. L’umorismo invece, e addirittura l’autoumorismo, è il miglior compagno di viaggio dell’intelligenza. Oddio: molti poeti, autori di poesie, sono stati riconosciuti come autori tristi, piangenti, cupi e soli. Ad esempio, Giacomo Leopardi. Ma di lui vi dirò in seguito.
Quello che mi preme, a questo punto, è dire una cosa. E dirla, quasi chiedendo scusa di qualche sproposito o esagerazione che avete potuto leggere finora, ma prima di me ha osato Beniamino Placido o Oreste del Buono con la loro libertà e spregiudicatezza nell’esprimersi. Ecco perché son diventati famosi. E così io oserò, dicendovi che le parole da cui mi terrò lontano il più possibile, senza che ci sia mai occasione che voi le leggiate o sentiate da me, saranno: «assolutamente…», «quant’altro», «praticamente», «un attimino» ma soprattutto «anche no». Ebbene sì! «Ogni lunedì, partendo da Dante, leggerete sulla “Gazzetta” le mie interviste impossibili».