L'intervista

La «Musica Eterna» di Grido: «Del mio rap voglio che rimanga l'anima»

Bianca Chiriatti

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Un disco pieno di collaborazioni (J-Ax, Fabri Fibra, Clementino, Tormento e tanti altri), che l'ex membro dei Gemelli DiVersi racconta come un nuovo tassello del viaggio di vita: «Anche nella trap di oggi c'è cuore e talento»

Si intitola «Musica eterna» il nuovo album di Grido, nome d’arte di Luca Paolo Aleotti, ex membro dei Gemelli DiVersi, uscito venerdì 29 novembre. Un progetto discografico prodotto da Willy L’Orbo e distribuito da Orangle Records, che arriva al culmine di un percorso personale e artistico maturato nel tempo. Tante le collaborazioni illustri nelle tracce, J-Ax, Jake La Furia, Clementino, Fabri Fibra, Entics, Tormento, per costruire un vero e proprio viaggio musicale ricco di stili e sfumature che riportano indietro allo stile della «vecchia scuola» rap, ma con uno stile convincente e contemporaneo. Grido ha raccontato alla Gazzetta i retroscena del nuovo lavoro.

Un nuovo tassello di questo percorso: come stanno andando i primi riscontri?

«Io sono preso dalla mia solita frenesia creativa: da quando è uscito sono venute fuori nuove opportunità, e sono contento che certe cose che credevo fossero troppo personali e avessero bisogno di più tempo per essere assimilate, siano arrivate dirette, nonostante viviamo in un'epoca di musica dove regna la superficialità. C'è chi ancora ascolta i dischi e le canzoni con attenzione, e per un liricista è una cosa molto bella».

«Musica eterna» è un titolo piuttosto solenne...

«Ci racchiudo un'esperienza personale, la consapevolezza che nella musica esiste qualcosa che va al di là delle epoche e delle tendenze di un decennio. Qualcosa che la lega alle nostre vite. C'è una forte contrapposizione con la musica di oggi, che è un po' fast food, e poi ci ho nascosto un easter egg: le iniziali di Musica Eterna sono 'M' ed 'E', che unite fanno la parola "me", sono io. È un cerchio che si chiude».

Quali sono state le ispirazioni che l'hanno formata?

«In assoluto la fonte principale è tutta la golden age del rap americano, che poi ho vissuto in prima persona anni dopo in Italia, ma non per come si suonava o si scrivevano i dischi, era proprio un discorso di attitudine. Si fa tutto con quello spirito, non sono legato tanto alla canzone in sé, quanto a cosa portava a comporla».

E in tutto questo viaggio, perché di viaggio si parla nell'album, c'è qualcosa di lei che non è mai cambiato?

«Sono sempre passionale nel fare le cose, quando sento una scintilla creativa, nella musica, nell'arte visiva, divento un vulcano, non voglio fermarmi finché l'idea non è concretizzata. Mi succedeva anche da ragazzino, quando ho cominciato a scrivere le righe».

Un disco pieno di collaborazioni importanti: sono state pensate a monte o nate strada facendo?

«Mentre lo realizzavo mi sono reso conto che alcuni brani erano quasi cuciti addosso ai miei colleghi, penso a Clementino, a J-Ax, ma non è stata una cosa guidata, pensavo più alla bellezza di creare legami con chi ha vissuto queste storie parallele alla mia, uniti dalla passione per il rap e l'hip hop. Poi ovviamente alla base c'è un'amicizia e un rapporto personale, con Jake La Furia era dal 1998 che volevo fare un feat.: ci siamo finalmente riusciti».

Da membro della "vecchia scuola", come vede oggi questo successo del rap nel panorama musicale attuale?

«Il mondo è cambiato, ma io non posso che gioire del fatto che il rap sia il genere più ascoltato. All'inizio eravamo emarginati, si pensava che come stile non sarebbe mai andato avanti. Ma io ho creduto nella potenza creativa dal primo giorno, e non è stata un'illusione, ci avevamo visto lungo, non può che farmi piacere. Ovviamente si afferma anche tanto spirito di emulazione e molte cose non mi piacciono, ma credo che anche nella trap ci siano ragazzi che stiano riuscendo a raccontare la loro storia con incredibile talento e contenuti».

Cosa le piacerebbe che rimanesse di questo disco?

«Intanto mi auguro di poterlo portare dal vivo in giro. Vorrei che restasse l'anima. Perché sono convinto che al di là di classifiche e hype, quando qualcuno arriva a tatuarsi una tua rima, non lo fa perché la canzone va di moda, ma perché si sono create delle connessioni. È impagabile».

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