In televisione

«Euphoria 2» verso la fine dell’innocenza

Marzia Gandolfi

La seconda stagione marca la fine di un’epoca e di un’innocenza che forse non è mai esistita

Le vie del culto sono impenetrabili. Dopo una prima stagione stupefacente, quale avvenire attendeva «Euphoria»? Sarebbe rimasta confinata in un laboratorio estetico confidenziale o avrebbe conosciuto una sorte universale? Qualche certezza ce l’avevamo: un regista maggiore, Sam Levinson, un’attrice prodigiosa, Zendaya, versione next gen di DiCaprio, né bionda, né bianca, né ragazzo, e una rosa di icone in divenire, Jacob Elordi, poster boy sulfureo, Sydney Sweeney, neo-Marilyn fantasmatica, Alexa Demie, mean girl esplosiva, Hunter Schafer, transgender magnetica, Maude Apatow, eroina preppy, Barbie Ferreira, cam girl in gonna di vinile.

I loro volti adornati di paillettes brillanti e i corpi di tessuti scintillanti splendono come stelle nella notte di un’esistenza drammatica, «tagliata» con il talco e la polvere di stelle. Magnificati da un’enfasi estetica che li rende iconici come quadri, gli adolescenti di Levinson si inscrivono nell’eredità di Clark e Aronofsky ma impongono la visione aggiornata del teen spirit: una forma di poesia e di oltranza. Figli della generazione Z, sono nati dalla paura del terrorismo e intrappolati in un presente assoluto, dove cercano col rischio la propria identità. Bere, sniffare, fare sesso (senza amore) continua a essere la loro traiettoria, deviata su un binario teatrale e un doppio finale catartico. Tra godimento e distruzione, i corpi dei personaggi dettano la narrazione e ci vengono incontro come rappresentazioni precoci della loro (tragica) età adulta. La seconda stagione marca la fine di un’epoca e di un’innocenza che forse non è mai esistita. Nessuna tregua per lo spettatore e l’overdose sempre in agguato dentro una serie folgorante che si permette tutto, compreso «suonare» Fleacoo e Francis Lai nello stesso episodio.

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