la transizione verde
Taranto laboratorio dell'acciaio green: ecco la proposta di Legambiente
Uno studio dimostra che, per la filiera che il processo di decarbonizzazione va a generare, serviranno oltre 8mila posti di lavoro aggiuntivi
«È arrivato il momento delle decisioni che si continuano a procrastinare, rischiando di perdere un treno importante che è quello della transizione». Per il presidente di Legambiente Stefano Ciafani, la scelta della decarbonizzazione è una scelta vincente. Un dato confermato anche dallo studio «Taranto dopo il carbone. Proposte per un futuro pulito: scenari di decarbonizzazione del siderurgico, fonti rinnovabili, lavoro», realizzato dall’Università di Bari per Legambiente, con il sostegno della European Climate Foundation, presentato ieri mattina a Taranto. Un incontro a cui hanno preso parte sindacati e associazioni di categoria.
«L’industria siderurgica - ha aggiunto Ciafani - va avanti e non aspetta le indecisioni dell’Italia e quelle su Taranto. La decarbonizzazione è una scelta giusta sotto tutti i punti di vista, ambientale e occupazionale. Dobbiamo solo capire dove vogliamo portare il sito siderurgico di Taranto, perché oggi ci sono tutte le possibilità per scegliere nel migliore dei modi. Ma qualcuno deve prendersi la responsabilità di farlo e nessuno lo sta facendo».
Secondo lo studio il passaggio «dall’attuale ciclo integrale a un sistema basato su forni elettrici ad arco e sulla riduzione diretta del minerale di ferro, fino ad arrivare alla completa decarbonizzazione con forni alimentati da Dri prodotto con idrogeno verde, rappresenta la via maestra per allineare la produzione di acciaio agli obiettivi del Green Deal europeo e della neutralità climatica al 2050». Le simulazioni condotte, mostrano che la combinazione di preridotto da gas naturale e rottame, può ridurre i consumi energetici del 36 percento e le emissioni di CO2 fino all’85 percento rispetto al ciclo integrale. Con l’idrogeno verde la riduzione sale dal 75 percento fino al 90 percento, avvicinando Taranto alla piena neutralità climatica.
«Oggi l’ex Ilva – si legge nello studio - a pieno regime, è autorizzata a produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, con un consumo di oltre 130 milioni di gigajoule di energia e l’emissione di 10-13 milioni di tonnellate di CO2 annue, oltre a emissioni di diossine, polveri sottili e Ipa, legate alla combustione del carbone e ai processi di cokeria e sinterizzazione».
Punto fondamentale è l’occupazione. Oggi ex Ilva di Taranto impiega circa 8mila addetti diretti e 4mila nell’indotto. Secondo lo studio, la dismissione delle aree ghisa, altoforno e acciaieria e l’introduzione dei forni elettrici e del Dri comporterebbero l’esubero di poco più di 3500 lavoratori pari a circa il 45 percento della forza lavoro. Da questo nasce l’urgenza di un piano di reskilling e upskilling per i lavoratori siderurgici e di una rete formativa tecnico-scientifica che integri università, Its e imprese. Un bilancio che secondo Legambiente va valutato considerando tutta la filiera che il processo di decarbonizzazione va a generare, per cui serviranno oltre 8mila posti di lavoro aggiuntivi che si occuperanno di nuove mansioni da internalizzare, come la costruzione degli impianti di energie rinnovabili e la logistica.