il processo
Taranto, accusato di aver chiesto 30mila in cambio di lavoro: scagionato un 49enne
La procura contestava al tarantino di aver avvicinato una madre e un figlio e di aver promesso degli impieghi per entrambi, previo pagamento di 30mila euro
È stato assolto un tarantino 49enne finito a processo con l’accusa di aver estorto nell’arco di 4 mesi quasi 30mila euro a una 56enne a cui aveva garantito un lavoro per lei e suo figlio e che alle sue prime esitazioni l’aveva minacciata di mandare all’aria l’affare se non avesse consegnato il denaro richiesto. È stato il giudice Clara Cirone a scagionare l’imputato, assistito dall’avvocato Davide De Santis. Il magistrato lo ha infine prosciolto dal reato di truffa ormai prescritto.
La procura contestava al tarantino di aver avvicinato la 56enne e di averle promesso un lavoro come addetta mensa in Auchan e per il figlio un impiego in una ditta dell’ex Ilva. Per questa prima intermediazione il 49enne avrebbe chiesto 200 euro che la donna aveva consegnato immediatamente.
Il raggiro, secondo il pubblico ministero Remo Epifani, si era concretizzato in diversi step: il tarantino aveva infatti dapprima chiamato la donna al telefono fingendosi dirigente delle due aziende e spiegandole che avrebbero dovuto seguire due corsi di formazione, facendosi dare 1500 euro, poi l’aveva convinta a pagare 550 euro a testa per ottenere la patente e in seguito altri 700 euro come maggiorazione per i patentini. Soldi che la vittima aveva dato ogni volta, a cui erano seguite altre richieste di denaro ogni volta più alte. Fino a convincerla a pagare 2400 euro per la sottoscrizione dei contratti di lavoro e poi altri 3100 euro per ottenere un livello contrattuale più alto come responsabili area. Non solo. Per l’accusa, i presunti dirigenti per i quali l’imputato riscuoteva il denaro nei panni di intermediario, avevano chiesto e ottenuto 3600 euro come “regalino” per il loro intervento nelle due assunzioni, 2500 da versare all’Inail e poi ancora 13mila euro per altri corsi di formazione, assicurazioni varie e servizio navetta.
Denaro che la vittima, nei mesi tra ottobre 2016 e febbraio 2017, ha dichiarato di aver sempre sborsato perché i due dirigenti, ossia l’imputato per l’accusa, al telefono l’avevano avvisata che se non «si fossero eseguiti quei pagamenti, l’intera operazione non sarebbe andata in porto», non avrebbero trovato lavoro in altre aziende e avrebbero perso i soldi dati fino a quel momento.
La 56enne aveva spiegato poi che l’uomo era stato convincente perché in diverse occasioni aveva portato lei e il figlio nello stabilimento siderurgico e anche nel centro commerciale, sostenendo di aver fissato appuntamenti con i manager per perfezionare le pratiche: incontri che, però, puntualmente, saltavano per imprevisti dell’ultimo minuto. Una vicenda che è poi finita nelle aule di tribunale e sulla quale, il giudice, con questa sentenza, ha sancito l’estraneità dell’uomo rispetto alle accuse.