Il caso

Usura ed estorsione a Laterza: sono 9 le condanne

Alessandra Cannetiello

Per Mimmo Sangiorgio detto «u Re» una pena a oltre 7 anni

LATERZA - Si è concluso con 9 condanne il processo di primo grado nei confronti degli imputati coinvolti nell’inchiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Lecce che nel settembre 2023 portò all’arresto di Mimmo Sangiorgio, accusato di essere a capo di un’organizzazione criminale dedita a usura ed estorsioni con metodo mafioso che operava a Laterza e in una parte del versante occidentale della provincia ionica.

É stato il giudice del tribunale di Lecce, Valeria Fedele, nella giornata di ieri, a infliggere le condanne per gli imputati che hanno scelto di essere giudicati in abbreviato: Mimmo Sangiorgio, figura apicale dell’organizzazione e difeso dall’avvocato Salvatore Maggio, dovrà scontare 7 anni e 8 mesi di carcere (il pubblico ministero Milto De Nozza aveva chiesto 10 anni). La pena maggiore, però, è stata inflitta a Ignazio De Biasi, condannato a 9 anni e 2 mesi di reclusione e ritenuto il braccio destro di Sangiorgio e per cui l’Antimafia aveva chiesto 10 anni di carcere. Nel dispositivo di sentenza, si leggono anche le altre condanne: 7 anni Maria Dell’Orco e 5 anni di carcere per Francesco Resta (8 anni la pena richiesta per i due, dal pm), 3 anni e 8 mesi, invece, per Vito Notarnicola (contro i 6 richiesti), 2 anni e 6 mesi per Angelo Tamborrino, 2 anni e 2 mesi di reclusione per Giuseppe Rizzi e Cataldo D’Aprile (per tutti il pm aveva chiesto 4 anni di carcere) e, infine, 1 anno di reclusione con pena sospesa, per Angelo Zecchino (per lui l’accusa aveva chiesto 1 anno e 6 mesi).

Associazione per delinquere, estorsione pluriaggravata anche dal metodo mafioso, usura pluriaggravata e continuata e trasferimento fraudolento di valori: queste le ipotesi di reato di cui erano accusati, a vario titolo, le 21 persone coinvolte nell’inchiesta delle fiamme gialle. Nel mirino della Guardia di Finanza, guidata all’epoca dal maggiore Mauro Nuzzo, era finito un gruppo che concedeva prestiti con tassi d’usura che raggiungevano il 300 per cento l’anno. Prestiti che venivano concessi a numerose famiglie e imprenditori di Laterza, in gravi difficoltà economiche.

Numerosi gli episodi che gli inquirenti raccolsero nel corso delle indagini, attraverso intercettazioni e anche testimonianze dirette delle vittime: al prestito seguivano minacce in caso di mancato pagamento delle rate e ritardi. Fino alle violenze fisiche vere e proprie: un imprenditore che non poteva pagare fu pestato da tre uomini coperti in volto da passamontagna e minacciato di morte se avesse osato denunciarli: «Se testimoni alla Gdf morirai, ti faremo saltare in aria, a te e a tutta la tua famiglia» dissero al termine del pestaggio. In un altro caso, era stata la moglie di un altro imprenditore, a dover assistere, nella stanza accanto, all’aggressione del marito.

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