Il caso
Dopo 10 anni tutti assolti per i fanghi dell’Aseco di Ginosa
Ex amministratori e dirigenti Aqp erano accusati di illecito smaltimento di rifiuti nell’impianto di compostaggio (poi sequestrato)
TARANTO - Il fatto non sussiste. È la formula con cui il tribunale di Taranto ha assolto sei imputati tra ex amministratori e dirigenti di Acquedotto Pugliese e di società controllate, finiti a processo con l’accusa di aver smaltito illegalmente e rivenduto come compostaggio per l’agricoltura, rifiuti speciali destinati alla discarica. Un verdetto che arriva a distanza di 10 anni dai primi sequestri.
A giudizio erano finiti due ex amministratori dell’Acquedotto Pugliese, Ivo Monteforte (in carica fino al 2012 e difeso dall’avvocato Pasquale Annicchiarico) e Gioacchino Maselli (dal 2013 al 2014, assistito dai legali Alessandro Amato e Rosario Cristini) che con altri dirigenti di Aqp e di società facenti capo (Pura Depurazione e Aseco) avevano, secondo la procura ionica, gestito illecitamente 28mila tonnellate tra il 2012 e il 2013, smaltendoli e trattandoli per convertirli in compost, da rivendere poi come fertilizzante in agricoltura e giardinaggio.
Assolti da ogni accusa anche l’ex direttore generale di Aqp, Massimiliano Bianco (assistito dall’avvocato Maria Gabriella Mastrolia), l’ex direttore industriale di Pura Depurazione (confluita poi in Aqp) Massimiliano Baldini e Mauro Spagnoletta legale rappresentate della società che faceva capo ad Acquedotto Pugliese (entrambi difesi dall’avvocato Massimo Leccese) e l’ex amministratore della Aseco, Vincenzo Romano (difeso dall’avvocato Giuseppe Modesti).
L’inchiesta culminò nel 2014 con il sequestro dei fanghi trattati nell’impianto dell’Aseco, a Ginosa Marina: l’accusa mossa dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, che aveva coordinato l’inchiesta dei carabinieri del Noe, era che in quei materiali prodotti dalle acque reflue dei depuratori di diversi comuni pugliesi, confluissero anche scarichi industriali e artigianali - per stessa ammissione di Acquedotto Pugliese, in una lettera del 2014 indirizzata a tutte le procure pugliesi - con conseguente presenza di «elevate concentrazioni di metalli» e idrocarburi totali non conformi alla normativa e, dunque, non commercializzabili in agricoltura o giardinaggio.
A Vincenzo Romano, ex amministratore unico dell’Aseco, la procura aveva contestato di aver regalato e venduto tra il 2012 e il 2013 a 52 aziende agricole, l’«ammendante» (Acm) prodotto da Aseco e di averne ricavato un profitto che andava oltre i 100mila euro. Il processo, però, ha evidentemente ritenuto le accuse infondate: il collegio presieduto dal magistrato Elvia Di Roma ha, infatti, ritenuto validi gli elementi presentati dai difensori e assolto da tutte le accuse gli imputati.