TARANTO - Il 42enne Vincenzo Balzo detto «lo sceriffo» e il 35enne Carmelo Nigro hanno ammazzato Graziano Rotondo il 39enne di Palagianello in un bunker scavato sotto le palazzine di via Machiavelli al rione Tamburi il 16 dicembre 2020, perché volevano «vendicarsi» dei furti di droga che qualcuno aveva compiuto nella loro proprietà.
È quanto scrive la Corte D’assise di Taranto nelle motivazioni della sentenza con la quale il 30 maggio scorso hanno condannato i due all’ergastolo. Nel verdetto la corte, presieduta dal giudice Giuseppe Licci e a latere Loredana Galasso, ha inoltre condannato a 20 anni il 25enne Giovanni Nigro ritenendo che questi «svolgeva l'attività in favore di Carmelo e Balzo Vincenzo, come un dipendente che prestava la sua attività secondo gli ordini che riceveva» e quindi non è per lui applicabile, a differenza degli altri due, l'aggravante della crudeltà che ha fatto scattare il carcere a vita. Nelle 230 pagine depositate nei giorni scorsi, si legge che Carmelo Nigro e Balzo avevano da subito maturato la volontà di eliminare Rotondo che quel pomeriggio si era intrufolato nel bunker per mettere le mani sugli stupefacenti. La vittima, però, aveva capito di essere stato scoperto e aveva chiesto telefonato al fratello che a sua volta aveva chiamato i poliziotti per chiedere aiuto: quando gli agenti della Squadra Mobile, diretti all’epoca dal vice questore Fulvio Manco, erano giunti sul luogo per il 39enne non c’era più nulla da fare.
La corte ha ritenuto pienamente attendibile la ricostruzione fatta dal pubblico ministero Marzia Castiglia che ha coordinato le indagini dei poliziotti: «se loro non avessero voluto uccidere la vittima – si legge nella sentenza - sicuramente avrebbero chiamato i soccorsi e soprattutto non ci sarebbe stata proprio la necessità di scendere giù nel sotterraneo per inseguire la stessa, posto che avrebbero potuto attenderla fuori dalla botola». Non solo. «Il dato per cui gli stessi scendevano armati giù nel sotterraneo è sintomatico solo della volontà di uccidere e non si può spiegare in alcun altro modo». In quel sotterraneo, che attraversa ben tre palazzine dell’area popolare al rione Tamburi, c’era il tesoro di Balzo e Nigro. Non solo droga, ma anche armi e munizioni: furono 14 le pistole recuperate dagli investigatori. E proprio con una di quelle pistole, uno degli imputati avrebbe colpito al volto la vittima prima che fossero esplosi i colpi letali.
Il collegio difensivo, composto dagli avvocati Luigi Esposito, Salvatore Maggio, Clara Veneto e Gaetano Vitale, aveva invece sostenuto che non era un'esecuzione, ma una «disgraziata e sfortunata coincidenza», un incidente con protagonista solo Carmelo Nigro: sarebbe stato lui ad accorgersi che qualcuno si era intrufolato nel bunker e per paura avrebbe impugnato l'arma e una volta dentro, al buio, ci sarebbe stata una sorta di colluttazione durante la quale Rotondo avrebbe colpito Nigro con una pietra e a quest’ultimo sarebbe partito accidentalmente un colpo che ha ucciso il 39enne. Una tesi però che non ha convinto i giudici di primo e ora la difesa proverà a portare le sue ragione dinanzi alla Corte d’assise d’appello.