I nodi del siderurgico

Benzene, l’ex Ilva contro il sindaco: ricorso al Tar per scongiurare lo stop

Giacomo Rizzo

Udienza il 20 giugno: «Nessuna prova dei rischi per la salute. Con un blocco danni irrimediabili».

TARANTO - L’ordinanza del sindaco di Taranto Rinaldo Melucci di chiusura dell’area a caldo legata alle emissioni di benzene «non porta alcuna evidenza di rischi concreti e attuali per la salute pubblica», mentre la sua «mancata sospensione provocherebbe evidenti e irrimediabili danni» allo stabilimento siderurgico. È questo il passaggio chiave del ricorso al Tar del Lazio presentato da Acciaierie d'Italia contro l'ordinanza del 22 maggio scorso firmata dal primo cittadino che ha intimato alla stessa azienda e a Ilva in Amministrazione straordinaria, ciascuno per sua competenza e responsabilità, di individuare le fonti di emissioni del benzene entro 30 giorni e di trovare le soluzioni per porvi rimedio o entro 60 giorni dalla notifica del provvedimento gli impianti dell’area a caldo (Altiforni, Cokerie, Agglomerazione, Acciaierie) dovranno essere fermati.

Il Tar ha accolto l’istanza di abbreviazione dei termini formulata da Acciaierie, fissando l’udienza per il 20 giugno (la società chiedeva la trattazione per l’udienza del 13 giugno). Nessuna sospensione cautelare urgente, dunque.

«Nel giudizio di bilanciamento degli interessi privati e pubblici coinvolti – sostengono nel ricorso i legali dell’azienda - occorre prendere in considerazione che la mancata sospensione dell’ordinanza, fino alla pubblicazione della pronuncia che sarà adottata all’esito dell’udienza di merito, costringerebbe la società a procedere alla chiusura degli impianti entro il 21 luglio 2023, compromettendo così in modo irreparabile ogni possibilità di successiva ripresa dell’attività produttiva».

Secondo l'azienda, l’ordinanza è illegittima «per la carenza di potere e comunque l’incompetenza dell’organo sindacale rispetto all’adozione di un’ordinanza contingibile e urgente riferita alla regolazione dell’attività industriale di uno stabilimento sottoposto ad Aia» e «perché carente nei presupposti in fatto (con riguardo alle asserite emissioni) e nei presupposti in diritto (stante anche la natura non temporanea del provvedimento)». L'illegittimità riguarderebbe anche «il mancato rispetto del principio di gradualità dell’azione amministrativa, dato che impone l’inibizione del funzionamento dell’area a caldo sine die e assegna per adempire a tale richiesta un termine che è comunque oggettivamente impossibile rispettare» e in quanto si è scelto di adottare «prescrizioni di estrema gravità senza preventiva interlocuzione con la società con illegittima compressione dei propri diritti di partecipazione procedimentale e una sostanziale violazione del principio del contraddittorio».

Nell’ordinanza del 22 maggio, il sindaco Melucci spiegava di aver ricevuto dall’Asl evidenze chiare rispetto al rischio per la popolazione, in particolare riguardo al danno provocato dall’aumento della media annuale della concentrazione di benzene (considerato un pericolo cancerogeno), anche se al di sotto dei limiti di legge. «Un’ulteriore relazione di Arpa - aggiungeva il primo cittadino - ci ha consentito di correlare i picchi registrati (anche superiori alla soglia oraria 27 microgrammi/m3, ndr) all’attività dell’acciaieria». Secondo l’Asl, peraltro, anche «il rispetto del valore di 5 microgrammi/m3 fissato dal D.Lgs. 155/201 non garantisce l'assenza di rischi per la salute umana».

Acciaierie d’Italia ribadisce nel ricorso di 33 pagine (redatto dagli avvocati Stefano Grassi, Luisa Torchia, Francesco Grassi, Elisabetta Gardini, Gabriele Sabato e Valerio Turchini) che non sussistono «rischi concreti e attuali per la salute pubblica». E «i risultati del monitoraggio biologico per il benzene – osserva la società - nei lavoratori degli impianti sottoprodotti e cokerie dello stabilimento di Taranto relativi a settembre-dicembre 2022 sono invece ampiamente rassicuranti. Il monitoraggio ha mostrato infatti valori significativamente inferiori al limite biologico dell’esposizione dell’ACGIH (American Conference of Governmental Industrial Hygienists) e, per l’80%, i lavoratori hanno addirittura evidenziato risultati di esposizione al benzene tipici dei soggetti non esposti».

La società siderurgica ricorda che quello di Taranto è un impianto considerato «di interesse strategico nazionale» e che la chiusura immediata delle attività implicherebbe «la perdita di 10.700 posti di lavoro (di cui circa 8.000 nel solo sito di Taranto ed i restanti nei connessi siti di Genova, Racconigi, Novi Ligure, Paderno, Marghera, Legnaro) e di una ancor più rilevante conseguenza sulla situazione occupazionale dell’indotto». Inoltre, l’interruzione della produzione dei laminati a caldo e delle lamiere «dell’unico fornitore nazionale (quello di Taranto è l’unico impianto sul territorio nazionale a ciclo integrato)» è in grado di «provocare una crisi di approvvigionamento in tutti gli altri settori della filiera dell’acciaio presenti nel nostro sistema economico».

Acciaierie ha evidenziato la necessità «che l’istanza cautelare venga trattata prima della scadenza dei 30 giorni (dunque prima del 21 giugno 2023), anche al fine di ottenere un provvedimento cautelare entro detta data». Un’ordinanza simile, firmata dal sindaco Melucci nel febbraio del 2020, fu «confermata» dal Tar dopo i ricorsi presentati da Acciaierie e Ilva in As e bocciata successivamente dal Consiglio di Stato. Anche alla base di quel provvedimento c’era l’aumento dei livelli di alcuni inquinanti. La storia si ripete.

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