i nodi dell'acciaio
Ex Ilva, fatture non pagate: aziende dell’indotto disperate
Ci sono debitori in attesa da oltre un anno. 145 ordini sospesi per 45 ditte
TARANTO - Resta critica la situazione di molte aziende dell’indotto di Acciaierie d’Italia. Il ritardo nei pagamenti delle fatture - che ciclicamente si cronicizza - e la sospensione prolungata degli ordini, sbloccata solo in parte da qualche settimana, pesano come un macigno sul destino delle ditte appaltatrici e, di conseguenza, sulle maestranze. Un mese fa l’annuncio dell’Ad Lucia Morselli a margine dell’inaugurazione della Technical Academy: «Ho pagato, i soldi sono già nelle casse delle aziende». Ma non tutte sono state ristorate e il problema si ripropone. «Scopriremo a breve – spiega alla Gazzetta Mimmo Amatomaggi della Uilm-settore appalto - cosa accadrà. Solitamente i pagamenti arrivano tra il 15 e il 20 del mese. Ci sono aziende che hanno fatture non pagate da marzo dello scorso anno. La situazione è sempre drammatica. Quasi tutte le aziende hanno procedure aperte di cassa integrazione per la riduzione delle attività. Hanno ripristinato alcuni degli ordini che erano stati sospesi a metà novembre, ma con scadenza giugno 2023 perché la questione riguarda anche la cassa integrazione in deroga che Acciaierie attiverà per i lavoratori diretti».
Sono 45 le aziende a cui fu notificata la sospensione di 145 ordini per «sopraggiunte e superiori circostanze». L’accesso ai cantieri doveva essere inibito fino al 16 gennaio, ma poi il periodo è stato prolungato. C’è chi accusò l’azienda di aver utilizzato la sospensione delle ditte per esercitare pressioni sul Governo in relazione all’impiego del miliardo di euro affidato ad Invitalia, partner pubblico di ArcelorMittal nella compagine societaria, e inserito nel Dl Aiuti. Poi è arrivato il via libera a un altro decreto che ha destinato alla società pubblico-privata altri 680 milioni di euro per far fronte alla crisi di liquidità e pagare i fornitori.
«Alcune ditte – riferisce Amatomaggi – sono rientrate al lavoro, ma tutto è legato alla ripresa dell’attività dello stabilimento. Cosa che denunciamo da tempo. Se ripartono gli impianti, se si alza il livello produttivo, è chiaro che le manutenzioni aumentano. Al momento il settore dell’appalto è anello più debole della catena. Arrivano a pioggia le richieste di cassa integrazione. Per una ditta, che aveva utilizzato tutti gli ammortizzatori sociali disponibili, siamo riusciti a siglare un accordo per la “cassa” di ulteriori 12 mesi concessa per le aree di crisi industriale complessa. Fortunatamente c’è questo strumento che è stato rifinanziato quest’anno. Nel momento in cui si esauriscono gli strumenti ordinari, un’azienda è costretta a licenziare. Noi vogliamo che il committente rispetti gli impegni».
Intanto, da oggi in fabbrica partono le assemblee con i lavoratori convocate da Uilm e Usb, i due sindacati che non hanno sottoscritto l’accordo sulla proroga della cassa integrazione straordinaria dopo che l’azienda ha dichiarato che i 1600 operai di Ilva in As sono da considerare fuori dal perimetro aziendale. Per Fim, Fiom, Ugl Metalmeccanici e Fismic, che invece hanno siglato l’intesa, «l’accordo porta dei diritti per i lavoratori che prima non c'erano, la tredicesima, la possibilità di fare una rotazione equa e il controllo della gestione della cassa integrazione da parte delle Rsu». Da lunedì prossimo anche Fim e Fiom organizzeranno assemblee con i lavoratori in attesa dell’incontro del 27 aprile con i commissari straordinari per fare il punto sulla situazione degli operai rimasti alle dipendenze di Ilva in amministrazione straordinaria (collocati in un limbo e in attesa di conoscere il proprio destino) e della convocazione al Ministero delle imprese e del made in Italy per discutere del piano industriale, ambientale e occupazionale.