Il caso giudiziario

Martina calcio, dissequestrati i beni del copresidente Luciano Soldano

Francesco Casula

Quantificati in 6 milioni di euro, erano sotto chiave per mano della guardia di finanza dal 7 dicembre scorso

MARTINA - I beni dell’imprenditore Luciano Soldano, copresidente del Martina Calcio e titolare della «Bionix World ou», non andavano sequestrati. Lo ha stabilito il tribunale del riesame di Taranto che ha accolto l’istanza di dissequestro presentata dai difensori di Soldano, gli avvocati Gaetano Vitale e Giuseppe Rinaldi, e ha annullato il decreto con il quale la Guardia di finanza aveva messo sotto chiave beni quantificati dalle Fiamme gialle per circa 6 milioni di euro. Tra i beni restituiti all’imprenditore anche le quote societarie della società calcistica della Valle d’Itria bloccate dallo scorso 7 dicembre.

«Fin da subito – ha commentato l’avvocato Vitale – abbiamo ritenuto che quel provvedimento di sequestro avesse una serie di lacune e oggi il Tribunale del Riesame ci ha dato ragione: eravamo certi che il ricorso sarebbe stato accolto: ora attendiamo di leggere le motivazioni non appena il collegio le depositerà».

Secondo l’indagine dei finanzieri della Compagnia di Martina Franca la società di Soldano non avrebbe dichiarato ricavi per circa 6 milioni di euro. L’azienda opera nel commercio all’ingrosso di macchinari e ha la formale residenza fiscale in Estonia, ma il centro direzionale nel territorio italiano: questo sistema, secondo l’accusa inziale, avrebbe generato un crocevia di scambi commerciali e configurando, tra le altre cose, anche la fattispecie illecita della cosiddetta «esterovestizione» societaria. L’accusa, insomma, riteneva che la sede formale all’estero fosse priva non solo di organizzazione commerciale e amministrativa, ma anche di automezzi idonei al trasporto delle merci. Inoltre, l’immobile, dichiarato come sede principale, secondo l’accusa era ubicato in una zona che per i militari era di chiara tipologia residenziale e quindi non avena neppure le sembianze di un opificio commerciale.

Era stata una verifica fiscale a far partire l’inchiesta accertando la mancata dichiarazione per circa 873mila euro e anche l’evasione di Iva per 42mila euro. Al titolare della società quindi era stata contestata l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli anni dal 2017 al 2020. Una tesi che ora la decisione del Riesame sembra aver ribaltato: bisognerà chiaramente attendere il deposito delle motivazioni per comprendere fino in fondo il giudizio del collegio, presieduto dal giudice Alessandro de Tomasi, ma è altamente probabile che i magistrati abbiano ritenuto di non condividerle visto che hanno completamente annullato la misura e restituito l’intero patrimonio.

Già in occasione del sequestro, infatti, l’avvocato Vitale aveva annunciato il ricorso al Riesame contro il sequestro e negato l’ipotesi della esterovestizione: «la società – aveva spiegato il legale alla Gazzetta – è una società estera, non “esterovestita” come sostiene l’accusa. Eravamo a conoscenza dell’indagine e non abbiamo fatto alcuna operazione per occultare o mascherare niente. Il mio assistito è effettivamente residente all’estero, è iscritto regolarmente all’Aire, il registro degli italiani per i residenti all’estero, ennesima dimostrazione che tutto – aveva aggiunto il legale lo scorso 8 dicembre – è sempre stato fatto nel massimo del rispetto della legge».

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