Il siderurgico

Caso ex Ilva, Urso: «Non vogliamo statalizzarla»

Redazione online

Serve un piano siderurgico nazionale: «Il nostro obiettivo é ricapitalizzare l’impresa»

TARANTO - Il governo non vuole la statalizzazione dell’ex-Ilva. Così il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso durante un’audizione in Parlamento. Il colpo di scena arriva mentre si attendono notizie dell’Assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia che, oltre alla filiale italiana di Arcelor Mittal, ha come socio - attualmente socio di minoranza al 38%, ma con il 50% dei diritti di voto - Invitalia controllata dal Ministero dell’Economia.

«Lo Stato attualmente è nel capitale di Acciaierie d’Italia col 38% e dovrebbe salire al 60% nel maggio del 2024. Un statalizzazione già decisa e programmata nel tempo. Ma noi non siamo d’accordo», ha detto il ministro. Poi, parlando a margine, lo stesso Urso ha precisato che lo Stato ha comunque intenzione di portare Invitalia al 60% di Acciaierie Italiane, ma il controllo statale sull'ex Ilva non sarà per sempre: «Siamo disposti ad anticipare la ricapitalizzazione per assicurare un futuro all’azienda e mettere subito la liquidità (circa 1 miliardo di euro ndr), ma i privati devono fare la loro parte» ha detto Urso.

«Il nostro obiettivo - aveva detto Urso durante l’audizione - è confrontarci con le parti per giungere a una ricapitalizzazione dell’impresa, per avere le ulteriori risorse necessarie alla riconversione industriale». Questo governo, ha ancora detto Urso, prevede «che lo Stato può e deve intervenire nella produzione siderurgica, soprattutto nei momenti critici, ma questa deve comunque essere realizzata da un partner industriale, e deve essere realizzata da privati», ha aggiunto.
Il programma che prevedeva un aumento di capitale e la salita di Invitalia al 60% dell’ex Ilva era stato disegnato dal precessore di Urso, il collega di governo e attuale ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. La scalata al 60% di Invitalia si è resa necessaria per gestire al meglio la transizione industriale che dovrebbe portare la prima acciaieria d’Europa, industria strategica nazionale, a mettere a punto un ciclo di produzione a zero impatto ambientale. Un miracolo che in Italia è già riuscito agli Arvedi nella loro Acciaieria di Trieste.

Nel piano delineato da Giorgetti, il 60% doveva essere raggiunto con un aumento di capitale entro il maggio 2024. A monte della decisione del governo Draghi di prendere il controllo di un’azienda strategica, ci sono stati anche i difficili rapporti con il partner privato, il colosso Indo-britannico Arcelor Mittal. L’ultima situazione di stress, a metà novembre, quando l’ad di Acciaierie Italia, scelto da Arcelor Mittal, Lucia Morselli ha fatto comunicare dall’azienda la sospensione delle attività di 145 ditte dell’indotto che svolgono nell’acciaieria di Taranto lavori ritenuti non essenziali. Nel frattempo, nel periodo i cui l’ex Ilva è stata governata da Arcelor Mittal, Taranto non ha fatto altro che perdere quote di produzione, tanto che adesso il gruppo Arvedi ha superato la produzione di Acciaierie Italia.

«Spero che non si arrivi ad una nazionalizzazione se non già in presenza di un piano per il futuro». Così il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, durante un incontro alla stampa estera, rispondendo sull'ex Ilva e rilanciando una domanda: «L'acciaio e il ciclo a caldo sono fondamentali per il Paese o no? Io credo che il Paese non si sia dato ancora una risposta che invece è fondamentale - rimarca -: se noi perdiamo una delle più grandi acciaierie d’Europa, se non la più grande, importante per tante nostre filiere, credo che facciamo un errore». Intervenire comunque sull'ex Ilva «è molto complesso, perché - afferma ancora - si sono stratificati una serie di interventi errati nel tempo e oggi abbiamo un’ulteriore difficoltà: solo capire oggi di chi è la proprietà degli impianti non è così semplice. E in una situazione di non chiarezza diventa difficile per chiunque. Ci vorrebbero dei partner industriali che possano operare al meglio».

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