La storia
Taranto, «Così vi racconto la vita con pennelli e colori accesi»
Tra i temi anche la guerra, con una bimba che porge i fiori al soldato con il bazooka
TARANTO - Una vita spesa al servizio dell'arte. È quella di Domenico Campagna, tarantino, classe 1950, che da due anni ha cominciato a dipingere murales sui muretti della sua villa a Talsano. Un autentico museo a cielo aperto in cui la realtà viene decodificata e restituita allo spettatore attraverso le lenti di chi lavora con pennelli e colori.
«È da quando ero ragazzo – ha spiegato Domenico alla Gazzetta – che vedo a questo mondo con interesse. Facevo le scuole medie a Policoro e i professori di allora già notarono in me questa propensione, mi consigliarono di proseguire il mio percorso frequentando il liceo artistico. Diedi loro ascolto, andai a Roma ed ebbi la fortuna di avere tra i miei insegnanti il grande Nicola Carrino, dopo tornai più vicino a casa, a Bari, dove mi diplomai. La mia idea era quella di iscrivermi all’accademia delle Belle Arti, ma non avevamo grosse possibilità. Per vivere ho dovuto fare un altro lavoro, restauravo edifici. Ma la passione chiaramente non si è mai spenta, anzi. È riesplosa poi con più vigore nel 2012, con la pensione».
Un interesse poliedrico che ha visto Domenico spaziare fra opere su tela, collage, installazioni (che ha portato in giro per l’Italia a Roma, Milano e Venezia), e veri e propri attacchi di guerrilla art: «Mi piaceva trovare delle stoffe colorate, delle magliette per esempio, assemblarle e dar vita a qualcosa di nuovo».
Due anni fa lo scoppio della pandemia e il lockdown, confinare Domenico esclusivamente al cavalletto e alla tela bianca sarebbe stato difficile. Così ha deciso di trasferire la sua arte sulle pareti che delimitano la sua abitazione, scoprendo il mondo affascinante e vivido dei murales. «L’idea è nata – ha commentato Domenico – in un momento particolarmente complicato non solo per me ma per il mondo intero. Sentivo che attraverso i murales avrei potuto restituire a chiunque fosse passato vicino casa mia la bellezza dell’arte che non si paga, quella che non è costretta nella quattro mura di una galleria e a cui non si accede con un biglietto. La prima opera fu proprio a tema Covid: mi era piaciuta una foto di un fotografo tarantino, Pasquale Reo, dove due ragazzi si baciavano sulla ringhiera di Taranto vecchia. Era un’immagine normalissima, però diventò quasi trasgressiva quando arrivò il Coronavirus tra noi. Così decisi di aggiungere delle mascherine, è stato qualcosa di una potenza tale che mi ha emozionato. Poi però ho voluto dipingere anche scene che parlano di temi d’impatto per la realtà di oggi. Ce n’è per esempio uno di denuncia sul caporalato, si vedono due immigrati chini nei campi del Foggiano a raccogliere pomodori, un presente purtroppo ancora non diventato passato».
E naturalmente non può mancare la guerra. «L’11 settembre mi sconvolse, cercai dopo allora di mettere nella mia arte il concetto di incerta superficie, percepivo la Terra come un posto non tranquillo su cui abitare. Poi l’invasione russa in Ucraina, qualcosa che si pensava fosse sepolto nei libri di storia. Il mio ultimo lavoro si ispira proprio a questo conflitto: c’è un soldato con un bazooka in mano, pronto a distruggere ciò che ha davanti. Ma c’è anche una bambina che gli porge un mazzo di fiori, in segno di pace».
I lavori di Domenico si possono ritrovare anche in diversi punti del capoluogo ionico: le strisce pedonali colorate di via Mignogna, alcuni murales del Borgo Antico, il restauro di Archita e Pitagora e dell’elefantino della villa Peripato. Ma Taranto può vivere di cultura? «Se non c’è arte non c’è vita – il parere di Domenico –, non possiamo campare solo di lavoro, di industria. Fortunatamente sembra ci sia un cambio di passo: si stanno recuperando tutte le bellezze di una città ricchissima, figlia della Magna Grecia ma anche delle epoche che l’hanno segnata successivamente. E c’è bisogno di finanziamenti, incoraggiamenti. Cambiare punto di vista si deve e si può».